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  • Il campionato dopo le guerre mondiali, come oggi: liti e spaccature. Ma anche riforme, miracoli e conferme

    Il campionato dopo le guerre mondiali, come oggi: liti e spaccature. Ma anche riforme, miracoli e conferme

    • Alessandro Bassi
      Alessandro Bassi
    Dove eravamo rimasti? Come ripartire? Il calcio interesserà ancora come prima? E, soprattutto: quali novità porterà con sé la ripartenza? Domande oggi più che mai attuali, oggi che siamo alla vigilia della ripartenza del campionato di calcio dopo la sospensione causata dall'emergenza sanitaria dovuta al Covid-19. Altre volte in passato gli “addetti ai lavori”, gli appassionati e la politica calcistica hanno dovuto confrontarsi con queste domande, soprattutto alla vigilia della ripartenza dopo le sospensioni causate dai due conflitti bellici del XX secolo, tra istanze innovatrici e opportunismi conservatori sullo sfondo di scenari politici in continuo fermento.

    PER L'ITALIA, CONTRO L'AUSTRIA HIP HIP HIP, HURRA'! - Il calcio italiano nel maggio del 1915 entra in guerra festoso, trepidante e baldanzoso. Il campionato viene sospeso al culmine delle “radiose giornate” ma molti sono fiduciosi che potrà essere ripreso da lì a pochi mesi, tanta è la convinzione che il nemico austriaco verrà sconfitto in tempi brevi. Sappiamo bene come queste previsioni si siano dimostrate infondate. Molti calciatori partono volontari per il fronte e molti di loro non faranno più ritorno. Con l'autunno del 1915 il calcio italiano è fermo ancora al 23 maggio, al fronte si muore eccome ma il fronte è molto distante, così come fioca è la percezione della drammaticità della guerra nell'opinione pubblica tanto che la richiesta di manifestazioni sportive è molto viva. La federazione cerca di dare risposte a questa domanda ma la sospensione del campionato è un paletto impossibile da superare. Nella riunione del 26 settembre la Commissione Tecnica della F.I.G.C. delibera la ripresa dei campionati di Terza categoria, ma non quello di Prima. Al suo posto viene proposta di disputare una speciale Coppa del Re alla quale avrebbero potuto partecipare anche le squadre delle regioni più esposte alla guerra o, in subordine, una Coppa Federale. Mentre la Federazione decide il da farsi, in molte città italiane vengono organizzate partite benefiche e La Gazzetta dello Sport organizza un torneo destinato alle squadre lombarde che è il primo torneo di guerra organizzato in Italia. Poi, come sappiamo, nel dicembre del 1915 inizia la Coppa Federale e da lì tutti gli altri tornei che accompagneranno gli italiani nei duri e drammatici anni di guerra, sino al torneo militare della Vittoria nel novembre 1918.

    CALCIO NUOVO, NUOVI CALCIATORI - Più volte abbiamo avuto modo di raccontare, anche in questa rubrica, come la fine della Prima guerra mondiale abbia avuto larga parte nel “creare” un nuovo tipo di calciatore, aprendo il calcio italiano – per dirla come Ghirelli – non più alle “minoranze specializzate” bensì a “masse entusiaste, anche se digiune di competenza”. Tutto è in fermento nel primo dopo guerra: c'è voglia di tornare a vivere dopo i lunghi anni di tribolazioni e morti, ma c'è anche da fare i conti con condizioni di estrema povertà. Le tensioni, le pulsioni, le emozioni violente vanno sciolte e i giovani si danno battaglia sui campi da calcio, attorniati da un pubblico anch'esso nuovo, più passionale, più focoso e pronto ad incendiarsi. Estremizzando, in quel 1919 di ripartenza se da un lato Mussolini con i suoi Fasci di combattimento e D'Annunzio con la sua impresa fiumana tengono viva la tensione politica e prende a serpeggiare sempre più crescente il malcontento per gli accordi di Parigi, il calcio fornisce uno strumento per sciogliere almeno in parte quella tensione. Non è un caso che tra il 1919 e il 1920 nascano molte società sportive, specchio di un rinnovato entusiasmo e di una passione per lo sport e il calcio che anche la guerra – come abbiamo avuto già modo di raccontare – ha concorso ad accrescere. In realtà se da destra la politica inneggia ed esalta la lotta ardimentosa e il cimento sportivo, gli ambienti socialisti fanno via via cadere tutti i loro pregiudizi verso lo sport. Non stupisce, dunque, che alla prima assemblea della F.I.G.C. del 13 aprile 1919 partecipino quasi 100 delegati e che venga ampliato enormemente il numero di squadre ammesse al campionato di calcio. In quell'assemblea si decide di lasciare al campo l'ultima parola sulla composizione dei successivi tornei. La Gazzetta dello Sport nell'edizione del 6 ottobre ben sintetizza sul punto: “(...) è giusto che il campionato sia aperto, almeno per quest'annata sportiva che ha un significato di qualificazione generale delle squadre alla future sezione A e B del campionato, al maggior numero possibile di squadre. (…) Il campionato dev'essere una palestra aperta al maggior numero di squadre, perchè siamo certi che la Federazione si propone soprattutto uno scopo di diffusione del giuoco. (...)” In realtà è una scelta di compromesso che, come ben sappiamo, produrrà nei primi anni'20 una vera e propria “guerra” in seno alla Federazione. Troppe le divergenze, troppi gli interessi peculiari che sovrastano l'interesse generale. Troppi gli egoismi e le rivendicazioni. Eppure quella decisione possiamo anche leggerla come l'inizio di un lungo cammino riformatore che troverà suo definitivo compimento con la completa entrata in vigore della riforma studiata da Vittorio Pozzo, riforma che porterà sul tramonto dei “ruggenti” anni'20 al campionato a girone unico.

    MIRACOLO CALCISTICO - Il “dopo” Seconda guerra mondiale è inevitabilmente più complesso. L'Italia e il calcio italiano avevano vissuto la spaccatura della loro unità nei drammatici e caotici mesi successivi all'armistizio, con la fine della guerra c'era dunque da riunificare tutto, in un Paese prostrato e affamato. Peraltro, come abbiamo già avuto modo di raccontare, il calcio anche in quei drammatici momenti, non si era fermato del tutto: brevi tornei locali si erano giocato un po' ovunque al di qua e al di là della Linea Gotica. Ciò che si era fermato era il campionato di calcio, con l'ultima edizione giocata nel 1943 vinta dal Torino. Sul finire dell'estate del 1945, terminata la guerra, giustiziato Mussolini, la F.I.G.C. ha due commissari: Ottorino Barassi, chiamato da Giulio Onesti, commissario straordinario del C.O.N.I., a reggere la Federazione per il centro-sud e Giovanni Mauro nominato dai deleganti per l'Alta Italia nella riunione del 31 luglio. Far ripartire il campionato è un segnale di speranza anche per la ripartenza dell'intero Paese. Il problema vero è che un campionato “unitario” non è proprio possibile organizzarlo. Troppe le difficoltà logistiche, di comunicazione e politiche, in un Paese che h perso la sua unità, non solo territoriale. Inevitabile quindi che Alta Italia da un lato e Centro-sud dall'altro organizzino gironi separati. Campionato diviso, dunque. Preceduto peraltro da un piccolo antipasto, molto significativo perché emblema della voglia di unità nazionale del calcio. La Juventus a fine settembre del 1945 si avventura in un viaggio molto difficoltoso per giocare alcune amichevoli a Grosseto, Napoli, Frattamaggiore (dove esce sconfitta 1 a 0 contro la Frattese!) e a Roma contro la Lazio: è la prima volta che nord e sud si ritrovano a giocare tra loro da oltre due anni. Tutto il lavoro di riscrittura e di riforma della struttura organizzativa e normativa viene posticipato all'assemblea federale della primavera del 1946, durante i cui lavori viene deciso il format del campionato (tra l'altro con l'inclusione della Triestina, dal significato fortemente simbolico), l'apertura ai giocatori stranieri (con le relative “follie” del calciomercato) e la rinascita dell'A.I.A. (dopo la soppressione sancita con la Carta di Viareggio del'26). Da rimarcare come anche il C.O.N.I. faccia la sua parte in quel difficile autunno del 1945: rendendosi conto delle oggettive difficoltà organizzative della F.I.G.C., “a titolo provvisorio ed in attesa delle nuove disposizioni di legge che regolamenteranno i mezzi per il conseguimento dei fini del C.O.N.I.” delibera di rendere partecipe la Federcalcio della metà dei contributi del 5% sugli incassi delle partite. In questo modo il C.O.N.I. permette alla F.I.G.C. di non andare ad intaccare gli incassi stessi delle società. Insomma, un circolo virtuoso utile per rimettere in moto la macchina del calcio italiano.

    SOTTO IL SEGNO DEL TORO - Così dunque il campionato riparte dopo due anni di forzato stop e con queste parole La Gazzetta dello Sport del 12 ottobre saluta la rinascita del campionato: “Si riprende davvero e sembra un sogno. Lasciamo alle spalle l'incubo angoscioso e guardiamo all'avvenire, ma senza dimenticare.” Il campionato riparte tra oggettive difficoltà ma anche con un, per certi versi, inaspettato entusiasmo di pubblico. La precaria situazione logistica italiana non può consentire la disputa di un campionato unitario e dunque a partire dall'ottobre del 1945 viene giocato in due gironi, uno al nord e uno al centro-sud, con girone finale per l'assegnazione dello scudetto. Decisione inevitabile in un Paese dove per andare da Roma a Milano in treno ci si impiega 33 ore! Il girone Alta Italia è composto da 14 squadre di serie A, quello del Centro-sud da 11, delle quali ben 6 erano di serie B. Il 14 ottobre del 1945 parte il campionato Alta Italia, una settimana dopo quello del Centro-sud. Dopo 9 mesi, a fine luglio del '46, il Torino vince il suo terzo scudetto, secondo consecutivo: si riparte dunque da dove ci si era fermati. Senza dimenticare.


    (Alessandro Bassi è anche su http://storiedifootballperduto.blogspot.it/)
     

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