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  • Conte:|Sito a sfondo nero

    Conte:|Sito a sfondo nero

    Sfondo nero, come l’umore. Tinteggiata così la parete del sito internet, verso sera il club ci scrive sopra quel che pensa della giornata appena trascorsa: «La Juventus è in silenzio stampa. Domani in mattinata (oggi, ndr) verrà valutata la situazione, a fronte dei fatti odierni, che sono da considerarsi, qualunque sia l’esito di questa vicenda, un atto gravissimo nei confronti dell’onorabilità di tutti i soggetti coinvolti: professionisti, manager, tesserati e società». I bianconeri sono solo neri. Di rabbia. Da Andrea Agnelli in giù. Casus belli, l’ultimo diciamo, il patteggiamento rigettato dalla commissione Disciplinare. Figurarsi Antonio Conte, che al patteggiare una pena, «per uno innocente», già era una contorsione d’animo non indifferente. Peggio non poteva andare. Del resto lui è uno da battaglia, e una lotta, a suo modo, è il processo. Patteggiare la punizione, accettarla, è un po’ come consegnarsi. Ragion di stato e buon senso, del club e suo, alla fine lì l’aveva condotto. Tutto da rifare. Per questo ora deve avere l’umore in bilico, e chissà se la notte porterà consiglio.


    Questo strano pomeriggio svizzero, il posto più strano dove far scoppiare la guerra, gli porta almeno il conforto delle sue tribù. A poco prima di un’ora dall’amichevole con il Benfica, mette piede sul prato dello stadio di Ginevra e i cori sono tutti per lui: «Antoniocontecapitano», cantano in curva. E i tifosi stipati attorno alle panchine si sporgono per applausi e autografi. Lui alza le mani, saluta. E dopo si concederà a qualche foto e alle firme, che mai ha negato. Anche se il sorriso mica può essere il solito. Resta un po’ lì, poi rientra. C’è pur sempre il mestiere da fare. Così rimane quasi per tutta la partita in piedi, davanti alla panchina, come suo solito. Si sbraccia, dà indicazioni, sbraita, sgrida. Qualche saluto o pacca sulle spalle a quelli che escono. Insomma, una sfida come le altre, e chissà se è davvero l’ultima, prima di una squalifica. Dipende da ciò che succederà oggi. Doveva già essere tutto a posto, ieri, e lui in campo, sereno nella misura di chi conosce il futuro. In fondo, è sempre l’ignoto a far paura. La rabbia è un’altra cosa, quella c’è a prescindere: «Quando tutto sarà finito parlerò io», disse sabato scorso, a Berlino. Dovrà aspettare ancora. Quando esce dagli spogliatoi, firma altri autografi, e si sforza pure di sorridere nelle foto che i tifosi continuano a chiedergli. Meglio non parlare. Per questo la Juve sceglie il pennello nero del silenzio stampa: dentro al club, appena saputo del no al patteggiamento, gli animi erano furenti. Spiffero raccolto in mattinata: «Una cosa vergognosa».

    Ma poi, il silenzio è anche un modo per essere uniti: «Nessuno verrà lasciato solo», aveva chiarito Andrea Agnelli, e ripetuto John Elkann. Tutti per uno e uno per tutti. Pure lo spirito dei giocatori, se il buon Gigi Buffon ieri ha lasciato la fascia di capitano a Leonardo Bonucci, un altro nella tempesta. Come dire: sei tutti noi. Verso la fine, il cielo sopra Ginevra si fa di piombo e butta giù saette e tempesta. Dura dieci minuti, poi la Juve lascia lo stadio sotto nuvole più clementi, e i fuochi d’artificio. «Magari è un buon segno».


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