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  • CR7, il Portogallo e il rischio della bolla narrativa: un Paese si schianta sul palo

    CR7, il Portogallo e il rischio della bolla narrativa: un Paese si schianta sul palo

    • Pippo Russo
    Uno psicodramma nazionale. Contro il palo colpito ieri sera da Cristiano Ronaldo al Parco dei Principi è andato a schiantarsi un Paese intero, entrato nell’Europeo come se avesse varcato la Porta del Sogno ma ora assalito dalla paura di trovarsi in un tunnel da incubo. Quando il Divo si è presentato sul dischetto pareva si fosse sul punto di scacciare il sortilegio. Era il minuto 78, e la nazionale portoghese si stava approssimando al secondo, deludente pareggio consecutivo dopo il traumatico stop imposto dall’Islanda. Ma all’improvviso è arrivato uno stupidissimo fallo in area commesso dall’austriaco Hinteregger proprio ai danni di CR7. Rigore ineccepibile decretato dall’italiano Nicola Rizzoli. E il momento del pallone sul dischetto che precede l’esecuzione è stato il climax, l’apice emotivo d’uno stato di tensione che sta sfibrando il Divo e tutto il Portogallo con lui. A chi non ha dimestichezza quotidiana con le cose portoghesi, questa rappresentazione della situazione può sembrare sopra le righe. Ma purtroppo così non è. 

    Il Paese: circenses sine panem – Consultando regolarmente i media lusitani, e vivendo l’atmosfera di Lisbona in questi giorni, si coglie quanta parte di autocoscienza nazionale i portoghesi abbiano puntato su questo appuntamento pallonaro. Troppa. Quasi quanto in occasione dell’Europe casalingo di dodici anni fa. Una manifestazione che avrebbe dovuto celebrare la grandezza portoghese nel mondo del pallone, e invece con la sconfitta in finale per mano della Grecia inaugurò una fase di depressione nazionale inaugurò una fase di depressione nazionale che da allora non si è più fermata. L’economia portoghese era già allora la grande malata d’Europa, quando ancora non si aveva coscienza della voragine scavata nei conti pubblici greci. E quella finale degli Europei fra Portogallo e Grecia, giunta a meno di due mesi dal più spettacolare allargamento dei ranghi dell’Unione Europea (dieci nuovi paesi ammessi il 1° maggio 2004, di cui otto appartenenti all’ex Patto di Varsavia), rimane la più riuscita allegoria dei velleitarismi dell’Europa unita.

    A dodici anni di distanza da quello shock il Portogallo – inteso sia come sistema calcistico che come nazione – si è approssimato all’Europeo francese con la convinzione che questa sia la volta buona. Una convinzione basata su diverse ragioni: il poter schierare il più forte calciatore del mondo (o presunto tale), l’avere a disposizione un gruppo di talenti particolarmente quotati, quel certo rispetto di cui godono da qualche anno i calciatori portoghesi in sede di mercato mondiale. E soprattutto, il Paese ospitante: la Francia, così vicina e così ricca d’immigrati lusitani, con una capitale che da queste parti viene da molti definita “la seconda città portoghese al mondo per popolazione”. La somma di questi elementi ha fatto lievitare nelle scorse settimane la bolla narrativa in cui il Portogallo è rimasto imprigionato. E alla tentazione dell’enfasi non hanno resistito nemmeno le massime cariche dello Stato. Durante i giorni che hanno preceduto l’esordio, nel ritiro della nazionale a Marcoussis, si sono presentati a braccetto il neo-presidente della Repubblica, Marcelo Rebelo de Sousa (che nei primi cento giorni di mandato è stato impegnato in un costante bagno di folla, in puro Papa Bergoglio Style) e il primo ministro socialista António Costa. Entrambi ansiosi di mettere la faccia nella Grande Impresa che andava a realizzarsi, e di farsi immortalare accanto ai Cavalieri che andavano a realizzarla. 
    Il Capo dello Stato e il Primo Ministro sono soltanto l’avanguardia di un sentimento popolare che in questi giorni è sintonizzato soltanto sul pallone. Le cronache sull’avventura europea della nazionale portoghese dominano il primo sfoglio dei giornali d’informazione e le scalette dei notiziari televisivi. E nei giorni di partita il primo canale della tv di stato RTP occupa, a partire dalle 14.30, l’intera programmazione con l’avvicinamento alla gara della nazionale. Uno spettacolo che da ansiogeno si fa sfibrante. Ma che sempre risulta segnato da un’ansia latente, e da un fatalismo mai domato: la paura di mancare un’altra volta l’appuntamento con la Storia. Questa paura è un sentimento che costantemente incombe, il lato oscuro di un ottimismo talmente sistematico da sembrare pura ginnastica motivazionale. Lo si capisce dal titolo che la RTP ha scelto per il lungo show di avvicinamento alle partite della Selecçao: “Fome de vencer”, cioè “Fame di vincere”. Ma ancora di più lo dimostra il video motivazionale diventato virale sul web, e che ho visto mettere in onda sul maxischermo di Praça do Comercio prima della partita contro l’Austria. Un video in cui vengono passati in rassegna i momenti più alti e i maggiori campioni del calcio nazionale, ma che a un dato momento mette in scena le grandi delusioni. E a quel punto la voce narrante prende a scandire la parte più motivazionale del video, quella in cui si esorta il popolo portoghese del pallone – e il popolo portoghese tout court – a liberarsi dell’habitus da Perdente della Storia, per cominciare a credere in se stesso.





    Con un appello finale all’unità nazionale che in queste settimane è un mantra, ribadito anche nell’inno d’appoggio all’avventura della nazionale a Francia 2016. Un inno cantato dagli Amor Electro, e dal titolo indicativo: “Juntos somos mais fortes”.


     


    Pare proprio un’operazione di lavaggio del cervello nazionale che tiene il calcio come fulcro, intanto che il sistema economico portoghese continua a andare in pezzi. Dopo il catastrofico fallimento del Banco Espirito Santo nell’estate 2014, che ha costretto l’esangue economia portoghese a un’operazione di salvataggio da 4,9 miliardi e alla creazione di un Novo Banco immediatamente di cagionevole salute, è toccato al chiacchieratissimo Banco Internacional do Funchal (Banif) nel 2015. Il 2016 rischia d’essere l’anno della Caixa Geral de Depositos, banca pubblica che potrebbe aprire una nuova voragine nei numeri e nella credibilità della politica economica portoghese. Un effetto domino che sembra non avere fine, mentre le piazze vengono occupate dalle proteste: le ultime provenienti dal mondo della scuola, sia pubblica che privata, e dai portuali che giovedì scorso hanno occupato le vie di Lisbona per protestare contro la precarizzazione del lavoro. Juntos somos mais fortes. Ma dopo il palo colpito da Ronaldo contro l’Austria il fatalismo riemerge potente, alla faccia dei video motivazionali. Stamani la prima pagina di Record ha titolato “Falhámos” (“Abbiamo fallito”). E A Bola ci va giù ancora più duro: “Ninguém falha como nós” (“Nessuno sbaglia come noi”). I fantasmi ritornano, se mai se n’erano andati.

    Il divo in crisi – Se passate qualche giorno in Portogallo potete ritrovarvi Cristiano Ronaldo in ogni dove. Sulle prime pagine dei giornali e sulle copertine dei rotocalchi, in cartonato nei centri commerciali, negli spot televisivi, nella cartellonistica pubblicitaria stradale. Una sovraesposizione che certamente fino a un certo punto avrà giovato alla Cristiano Ronaldo Spa. Ma che in questa fase della carriera rischia d’essere un boomerang per il Cristiano Ronaldo calciatore. Perché stavolta il peso delle aspettative può essere schiacciante. E fin qui CR7 è stato protagonista in negativo dell’Europeo, il simbolo di questa nazionale non ancora all’altezza dell’eccessivo credito. Già in occasione della prima partita contro l’Islanda il madridista aveva dato segni di nervosismo. Poco incisivo in campo, e addirittura ridicolo nel dopopartita. Allorché si è lamentato della mentalità mostrata dagli islandesi, troppo difensiva e “da piccola squadra”. Persino in patria gli hanno risposto piccati, dicendogli che l’Islanda “è” una piccola squadra, e perciò gioca di conseguenza. Ciascuno gioca il calcio che gli riesce e coi mezzi che ha, e tocca ai più forti mostrare d’esserlo. O forse CR7 s’aspettava che gli islandesi gli spalancassero con riverenza la via della porta? E ieri, intorno a quel momento di climax per una partita e un Paese intero, CR7 ha vissuto il suo climax personale in un giorno che gli metteva addosso il peso della Storia. Per lui giungeva il traguardo della presenza numero 128, record assoluto per la nazionale. Con la gara di ieri Ronaldo ha staccato Luis Figo, che come lui è ex sportinguista, ex cliente di José Veiga e attuale cliente di Jorge Mendes. E l’influenza del superagente sulle scelte del commissario tecnico Fernando Santos è in questi giorni motivo di grande malumore presso vasta parte dei tifosi portoghesi. C’è troppa Gestifute in quella Selecçao. Di questo malumore CR7 diventa il bersaglio. Se poi succede che Mendes ci metta pure il suo in termini “propiziatori”, ecco che il quadro delle sfighe si completa. La prima pagina del giornale “O Jogo” andata in edicola ieri conteneva un vaticinio del super-agente: “Ronaldo vai marcar à Austria” (“Ronaldo segnerà contro l’Austria”). Gli ha portato una fortuna che lèvati.


    CR7, il Portogallo e il rischio della bolla narrativa: un Paese si schianta sul palo

    La partita giocata ieri dal capitano portoghese è stata una summa di questa situazione. Cristiano Ronaldo ne azzecca poche per lunghe fasi di gara, ma quando poi riesce a centrare lo specchio della porta continua a trovare la strada sbarrata. E se infine la butta dentro, non vale perché è fuorigioco. Ma a spiccare è soprattutto l’immagine di CR7, qualcosa che ormai viaggia per il sistema della comunicazione globale indipendentemente dalle sue prestazioni sportive e dalla sua volontà. Quei primi piani in superslow mandati in onda dalla regia internazionale hanno mostrato un Ronaldo fatalista, sfiduciato, incupito. Ma sempre in una posa calligrafica, patinata, come fosse mediaticamente studiata. La rappresentazione globale del campione separata dal campione stesso, e spesa per produrre emozioni estetiche prima ancora che agonistiche.
    Il palo sul quale si è schiantato il tiro dal dischetto è stato il sigillo dell’incubo. Bisogna tornare tutti alla realtà, a partire dal Divo. L’Europeo è qui e adesso, e si vince con le prove sul campo. Non con la retorica sciovinista, né col marketing.

    @pippoevai




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