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  • Crotonemania: Anco(n)a una sconfitta

    Crotonemania: Anco(n)a una sconfitta

    • Michele Santoro
    Ricordate il “mitico” Ancona che disputò il campionato di A nella stagione 2003/2004? Vi rinfresco la memoria. Era una squadra che, soprattutto in attacco, poteva annoverare gente nata col gol nel sangue: Mario Jardel, Paolino Poggi e Dario Hubner; peccato solo che fossero giunti nelle Marche con almeno dieci anni di ritardo. Quell’Ancona finì il torneo totalizzando la miseria di 13 punti, con 2 sole vittorie all’attivo; ebbe il peggiore attacco (21 gol fatti) e la peggior difesa (70 gol subìti). Purtroppo le analogie tra quella “squadra” e il Crotone, al momento, sono tantissime. Le reti subite in appena sei giornate sono 14, più di due a partita; il che vuol dire che la retroguardia calabrese non riesce a resistere alle sortite avversarie per più di 35 minuti. Ma se Atene piange, Sparta certo non ride: anche l’attacco viaggia a medie imbarazzanti, e con quello siglato ieri da Simy siamo solo a quattro gol totali. Scusate il groviglio numerico ma stiamo parlando pur sempre della compagine per cui tiferebbe Pitagora.

    Quello che inchioda i rossoblù non sono tanto le statistiche, ma l’approccio alla gara. E’ vero l’organico è quello che è, lo sappiamo, anche se la cosa più antipatica che salta all’occhio è la totale assenza di spirito e cattiveria. Lo scorso anno le cenerentole Carpi e Frosinone, anche loro alla prima esperienza in massima serie, hanno venduto cara la pelle lottando su ogni campo fino alla fine e arrendendosi solo all’aritmetica. Il Crotone gioca come se, al 90%, il risultato finale fosse già scritto. Contro l’Atalanta la resistenza è durata solo due giri d’orologio ed è veramente inconcepibile credere che l’attenzione fosse già ai minimi dopo un così breve lasso di tempo. Le colpe? Da dividere equamente tra chi allena, chi gioca, e chi comanda.

    Nicola insiste con un modulo, il 3-4-3, che dovrebbe essere vietato dal Codice Penale se hai a disposizione questi giocatori; non a caso nell’unica partita finita a punti, il pareggio col Palermo, lo schieramento utilizzato è stato il 4-4-2, con difesa e centrocampo più vicini e compatti a limitare gli attacchi e le fonti di gioco avversarie e le ali pronte a ripartire velocemente. Le trame spumeggianti della promozione sono solo un ricordo, con buona pace di tutti. Veniamo ai giocatori. Molti di loro dovrebbero capire che la A è un punto di partenza per le loro carriere, non di arrivo. Allo scotto pagato per il cambio di categoria si potrebbe rimediare con la convinzione, la tenacia, la lotta e invece si vedono calciatori appagati, senza mordente, sazi (di cosa poi?). Infine la società. Il tempo delle favole è terminato, la barca fa acqua da tutte le parti: mercato approssimativo, scarsa trasparenza sulla questione stadio, in una sola parola, inadeguatezza. La sensazione, camminando per la città, è che la A sia un impaccio da togliersi di mezzo al più presto e non c’è da preoccuparsi, continuando così l’obiettivo sarà centrato. Il problema è che mancano ancora trenta giornate alla fine ed il sogno potrebbe tramutarsi in una lunga e lenta agonia.
     

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