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  • Da Adriano a Trezeguet: se il campione (di)vino finisce in fiumi di alcol

    Da Adriano a Trezeguet: se il campione (di)vino finisce in fiumi di alcol

    • Furio Zara
      Furio Zara
    Alzano il gomito. Talvolta anche la soglia della vergogna. E fanno i cafoni e gli arroganti maleducati, come è capitato l’altra sera a David Trezeguet che - fermato ubriaco al volante in via Po a Torino e denunciato per un tasso alcolico oltre il limite consentito - prima si è rifiutato di sottoporsi al test e poi ha insultato gli agenti. Un comportamento da straccione insolente. Quando i campioni hanno a che fare con l’alcol, sono sempre tristi le storie da raccontare. C’è chi combatte da decenni una battaglia contro i fantasmi, come Paul Gascoigne, che da quando ha smesso entra ed esce ripetutamente da centri dove va per disintossicarsi. Il «Benny Hill» del calcio anni ’90, il clown più tenero e triste in circolazione in quelle stagioni di baldoria, oggi è un uomo di cinquantadue anni che cerca di rimettere insieme in cocci della sua vita, e non sempre ci riesce. Fece una brutta fine George Best, l’alcol era la sua dannazione, la bottiglia il suo rifugio; così come di vino - anzi di cacacha, un’acquavite comune in Brasile - morì Garrincha, il «Passerotto dalle gambe storte» che ancora oggi è ricordato - in Brasile - come il più grande di tutti, più forte anche di Pelè. Più di recente un altro potenziale fuoriclasse ha disperso il suo talento facendosi del male: con cadenza preoccupante circolano sui social foto rubate di Adriano, l’ex Imperatore dell’Inter, che con lo sguardo perso nel vuoto si abbandona al bere.

    In Inghilterra bere alcolici comincia come un rituale di gruppo e finisce nella solitudine. Rio Ferdinand, l’ex pilastro del favoloso Manchester Utd di Alex Ferguson, ha raccontato di aver bevuto molto, soprattutto all’inizio della carriera, anche una dozzina di pinte di birra al giorno. Dove trovasse poi la forza di andare in campo è un mistero. Resta il fatto che di quel periodo - Ferdinand - non ricorda quasi nulla e deve farsi aiutare da amici e colleghi per rimettere in fila partite, compagni di squadra, trionfi. L’ex centrale di Arsenal e nazionale Tony Adams è uscito dal tunnel dopo tanti anni (l’ha raccontato nella sua autobiografia): giocava con la scimmia sulle spalle, beveva fino alla disperazione. L’alcol ha rovinato le carriere di altri disadattati come l’inglese Joe Barton, un habituè della galera, di gente in fuga da se stessa come Mario Jardel, di campioni sempre sull’orlo del precipizio, come Ronaldinho. Un altro brasiliano - l’ex giallorosso Cicinho - ha rischiato la pelle in un paio di occasioni. «Andavo a Trigoria, mi allenavo ma sapevo che la domenica non avrei giocato - ha raccontato - E allora quando arrivavo a casa bevevo molto. A casa avevo casse di birra e altri tipi di alcool, bevevo da solo o insieme a falsi amici». L’alcol gli ha fatto perdere la dimensione della realtà. «Una volta dopo aver bevuto 18 caipirinha e 14 bicchieri di birra ho incontrato Gesù», ha dichiarato. Di Maradona si conoscono tutti i vizi, la sua vita è un film che concede sempre repliche: è il solito demone che rincorre chi frena perfarsi acchiappare, come l’olandese Andy Van der Meyde (ex Inter), che le ha provate quasi tutte (le droghe) e nei fiumi dell’alcol ha dimenticato le sue pene. Qualche anno fa - aveva già smesso di giocare - in uno dei momenti più difficili della sua vita - assai complicata - l’ex mediano dell’Inter Almeyda ingollò cinque litri di vino in un paio d’ore e andò in coma etilico. Ma per tornare ai giorni nostri c’è chi nell’alcol ci scivola e poi - avvolto nella nebbia - ce lo fa sapere: è successo a Nainggolan, che da ubriaco ha postato sui suoi profili social un video dove cianciava di cose assurde. (Poi se l’è presa con chi quel video l’ha ripreso, pensate un po’).

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