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  • Da Maradona e Tevez a Francescoli e Higuain: il romanzo di River-Boca
Da Maradona e Tevez a Francescoli e Higuain: il romanzo di River-Boca

Da Maradona e Tevez a Francescoli e Higuain: il romanzo di River-Boca

  • Matteo Quaglini
El barrio de la Boca, 207. Da una parte, la frontiera che nella magica Buenos Aires divide i Millionarios dagli Xeneizes. I fondatori di origini inglesi del calcio professionistico argentino grazie al primo acquisto (Peucelle per 10.000 pesos dallo Sportivo, 1930) sul mercato e i ragazzi che nacquero in una piazza. I bochensi dalla maglia azul amarillo colori scelti guardando l’arrivo al porto della città di una nave con bandiera svedese e i riverplatensi dalla banda roja e dalla fucina di talento interminabile: Di Stefano, Sivori, Passarella, Crespo, Batistuta. Dall’altra un numero. Quello del nuovo superclasico di campionato (75 vittorie Boca, 67 River). Torna con la sua passione, il suo tremito universale quella che il calcio argentino riconosce come la battaglia del Rio de la Plata. Classici alla loro letteratura sublime i fratelli argentini, mescolano personaggi a gesti tecnici, suggestioni con polemiche e aprono diversità. 

La storia di questa partita epica iniziò il 24 agosto 1913 sul campo del Racing di Avellaneda (l’ultima squadra oggi del “principe” Milito) con la vittoria del River per 2-1, ancora era calcio fatto di “amateurismo” di primi passi di quel grande tango argentino che è il calcio metropolitano a Buenos Aires. Il primo “clasico” tra professionisti si giocò nel 1931 e quasi a segnarne il passaggio epocale quelli del River giocarono con una maglia a righe verticali bianche e nere, come a significare il passaggio nuovo in un universo parallelo del football argentino allora come oggi vicecampione del mondo del 1930. Quelle maglie furono abbandonate l’anno dopo nel ’32 e nacque con i simbolismi che conosciamo, “El Clasico de Clasicos”. Una partita carica di personaggi, di aneddoti e di racconti. Gli stessi nitidi che Victor Hugo Morales narrò dalla radio argentina il 10 aprile 1981. In quel giorno di pioggia un ventunenne Maradona con la dieci cucita sulle spalle e il pallone incollato al sinistro segnò il gol del 3-0 al River scartando il portiere e il difensore che rinveniva mentre dalla sua cabina radiofonica il grande narrador gridava un attimo prima il suo famoso “que sea, que sea” aggancio mistico con il futuro “barrilete cosmico” dell’immortale Mondiale messicano argentino. 

La radio, mezzo magico per eccellenza, omaggerà un’altra volta il Superclasico, nel 2006, quando Radio Marca trasmetterà in diretta, nella Spagna dei giganti Real e Barcellona, la vittoria del River per 3-1 nella partita delle partite del romanzo argentino. Sembra di sentirla la radiocronaca fatta di parole letterate e suoni cadenzati raccogliere tutti i Boca-River della storia, da quelli delle imprese riverplantensi alla Bombonera del 1972 (una rimonta da 2-4 a 5-4), del 1986 l’anno del River tri-campione del Sudamerica e del gol di Noberto Osvaldo Alonso, quello della pelota naranja. Al 1994, quando tre numeri 10 stesero il Boca, il maestro Francescoli e i talenti irrequieti Ortega a Gallardo. A quelli di meraviglioso essere Boca.

Se il River è il gioco e la tecnica, il Boca è l’individualità sublime, è il gesto. Dal rigore parato per vincere il campionato da Antonio Roma nel 1962, al primato di 4 gol tutt’insieme di Carlos Maria Garcia Cambòn che all’esordio (1974) nel clasico stabilì questo record ancora oggi imbattuto; fino all’ultima partita giocata da professionista e vinta (2-1) da Diego Maradona il 25 ottobre 1997. Il Superclasico è molte cose: un romanzo ritmato che hanno scritto anche giovani futuri campioni come Higuain (un gol di tacco nel 2005) e grandi allenatori da Tabarez (imbattuto per 13 volte consecutive) a Bianchi ( a cui i bochensi hanno dedicato una statua) e Ramon Diaz nel lungo duello (1998-2013) tra gli allenatori più vincenti e superbi della storia di Buenos Aires. E’ un campionario di rivalità che crea una classifica delle 10 frasi più polemiche di questa partita, è i 99 giocatori che hanno giocato per entrambe, è Veron e Riquelme, 10 surrealisti, è i 16 gol di Labruna del River (massimo marcatore nella storia del clasico) , è i 4 tronfi al Monumental del Boca con cui i “genovesi” hanno vinto lì il campionato, è Reinaldo Merlo recorman di presenze (42 per il River), è anche violenza e vergüenza come la chiamano loro, dell’aprile del 2015 con quelli del River, feriti a occhi e piedi. E’ il dramma della puerta 12 (23 giugno 1968) dove persero la vita 71 persone (150 feriti) schiacciati in una cancellata del Monumental. Il Superclasico, oggi come allora, è novella argentina alta e bassa, affascinante e cruenta di un quartiere che è diventato riferimento metropolitano.

Ma è anche curiosità, col Superclasico che divenne un video realizzato nel 2013 dall’ambasciata americana in Argentina in cui i diplomatici, ambasciatrice compresa, discutevano chi avrebbe vinto la partita. E oggi, notizia di quattro giorni fa, è la storia delle magliette della solidarietà. Ci sono 12 grandi protagonisti di Boca e River da Ramon Diaz a Gallardo, da Martin Palermo a Cavenaghi, da Francescoli a Serna che hanno scelto di essere raffigurati nei loro momenti storici con le loro squadre in una maglietta celebrativa i cui profitti andranno a fondazioni e ospedali scelti dagli eroi omerici di un tempo. E’ il lato umano del Superclasico, espresso dal progetto “Abrazo de gol” in cerca di solidarietà tra i tifosi. La rivista Fourfourtwo l’ha definito il clasico più grande del pianeta. The Observer l’ha messo al primo posto tra le 50 cose sportive da fare prima di tornare nell’universo cosmico. A noi del vecchio mondo, più che un Superclasico sembra una finale del campionato del mondo.

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