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  • Dal ministro Speranza alla Pellegrini: basta demagogia contro il calcio, deve ripartire come tutta l'Italia

    Dal ministro Speranza alla Pellegrini: basta demagogia contro il calcio, deve ripartire come tutta l'Italia

    • Stefano Agresti
      Stefano Agresti
    La demagogia è una brutta bestia, perché trasforma una banalità in un principio morale (ovviamente capace di raccogliere subito moltissimi adepti, altrimenti non si tratterebbe di demagogia). In queste settimane se ne fa largo uso per distruggere il calcio, come se fosse il male supremo o comunque un elemento accessorio non solo della nostra vita sociale ma anche dell’economia di questo Paese. Così abbiamo ascoltato Federica Pellegrini, la campionessa più grande della nostra storia, dire: “Qui si parla solo di calcio, però tutti gli atleti devono essere trattati allo stesso modo”; una tesi ovviamente sposata da Malagò, presidente del Coni. E nelle ultime ore abbiamo sentito il ministro della salute, Speranza, liquidare una domanda sulla ripartenza del campionato nel modo più scontato possibile: “Ci sono 400 morti al giorno, il calcio è l’ultimo dei miei problemi”. In mezzo, tra la Pellegrini e Speranza, una raffica di illustri pareri più o meno sulla stessa linea (chiusi in serata dal ministro dello sport Spadafora).

    Le parole dell’una e dell’altro sono a effetto, ma se entriamo nel merito ci accorgiamo che è tutto diverso. Rileviamo, ad esempio, che il calcio di vertice (è di questo che parliamo: la Serie A) produce un movimento di denaro che incide sul Pil dell’Italia in misura non irrilevante, essendo tra le prime cinque aziende del Paese. Questo campionato, che secondo Federica Pellegrini e Malagò conta quanto le altre discipline, versa oltre un miliardo all’erario e permette di vivere a tutto lo sport italiano, il quale riceve contributi statali perché quasi mai produce ricchezza e in caso contrario non avrebbe risorse per sopravvivere. I diritti televisivi domestici e internazionali danno alla Lega di Serie A 1,3 miliardi, mentre ci sono Federazioni che investono denaro per avere spazio in tv e su media diversi che altrimenti ignorerebbero le loro discipline. Possiamo considerarle uguali al calcio, anche solo per l’economia? Sì, se si vuol fare demagogia.

    Quanto al ministro Speranza, il parallelo tra i morti e il calcio è troppo semplice, tale da diventare di basso livello. Non avrebbe certamente usato le stesse parole se gli avessero chiesto delle difficoltà alle quali va incontro Fca, oppure della crisi che attende il turismo o del danno economico subito dai ristoratori. Come mai è giusto preoccuparsi dei lavoratori di ogni settore e non di quelli del calcio? Lo sa il ministro Speranza, e anche il suo collega Spadafora, che il pallone non versa milioni solo a Ronaldo e Ibrahimovic, ma dà da mangiare a decine di migliaia di persone, le quali - in via diretta e indiretta - campano le loro famiglie proprio grazie a questo sport?

    L’emergenza sanitaria è ovviamente fondamentale e va affrontata con la massima attenzione, anche questo è banale e scontato. Allo stesso tempo tutti quanti, dalla politica all’imprenditoria, si stanno rendendo conto che l’Italia ha bisogno di rimettersi in moto come sta facendo il resto d’Europa. E dell’Italia - piaccia o no ai demagoghi di turno - fa parte anche il calcio che tanto disprezzano.

    @steagresti
     

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