Dal Pino: 'Il Covid mi ha messo paura. Il calcio perde 600 milioni, il Governo deve aiutarci o il rischio di un crack è alto'

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Il presidente della Lega Serie Paolo Dal Pino ha vissuto personalmente l'esperienza del Covid, che ha toccato pure i suoi famigliari. E, dopo averla superata per fortuna senza conseguenze, nell'intervista concessa a Il Corriere della Sera prova a suggerire la ricetta migliore per far uscire il calcio italiano da questa tempesta, che rischia di avere conseguenze economiche gravissime per l'intero movimento.
"Il momento più delicato? Il primo giorno, dopo l’esito del tampone. Avevo 38 di febbre, la polmonite e mi avevano comunicato che già avevo contagiato mio figlio, il maggiore. In quel momento ho avuto la percezione che avrei trasmesso il virus anche a mia moglie e all’altro figlio, situazione poi avvenuta", dichiara.
Sulla richiesta di aiuto al Governo: "Ho scritto al premier Conte usando un tono diretto. Chi banalizza il mondo del pallone non conosce la sua importanza, il calcio è innanzitutto un’industria primaria dell’entertainment, un prodotto che compete a livello globale. Un fenomeno attorno a cui si coagula l’interesse di 30 milioni di persone: il calcio non è solo star, campioni, ingaggi milionari, ma un movimento che coinvolge 300 mila lavoratori complessivi. La demagogia, il populismo e la superficialità di giudizi vanno messi da parte. Nella lettera che ho inviato all’Esecutivo ho ricordato che questa industria registra un fatturato di 4,7 miliardi, di cui 3 prodotti dalla serie A. Versa contributi fiscali di 1,2 miliardi, è la locomotiva di tutto lo sport italiano e ha un ruolo sociale rilevante. Il Governo ha destinato forme di ristoro a settori produttivi: perché non viene considerato il calcio che denuncia perdite per 600 milioni, dopo che per un anno viene impedito l’accesso del pubblico negli stadi?".
Sull'ipotesi playoff in caso di sospensione del campionato: "Parlo tutti i giorni con Gabriele Gravina. Abbiamo più simulazioni sul tavolo: spero che il campionato si possa concludere regolarmente, se invece intervenissero altri fattori e una sospensione del torneo fosse necessaria, l’assemblea si esprimerà sul cambio di format".
"Il momento più delicato? Il primo giorno, dopo l’esito del tampone. Avevo 38 di febbre, la polmonite e mi avevano comunicato che già avevo contagiato mio figlio, il maggiore. In quel momento ho avuto la percezione che avrei trasmesso il virus anche a mia moglie e all’altro figlio, situazione poi avvenuta", dichiara.
Sulla richiesta di aiuto al Governo: "Ho scritto al premier Conte usando un tono diretto. Chi banalizza il mondo del pallone non conosce la sua importanza, il calcio è innanzitutto un’industria primaria dell’entertainment, un prodotto che compete a livello globale. Un fenomeno attorno a cui si coagula l’interesse di 30 milioni di persone: il calcio non è solo star, campioni, ingaggi milionari, ma un movimento che coinvolge 300 mila lavoratori complessivi. La demagogia, il populismo e la superficialità di giudizi vanno messi da parte. Nella lettera che ho inviato all’Esecutivo ho ricordato che questa industria registra un fatturato di 4,7 miliardi, di cui 3 prodotti dalla serie A. Versa contributi fiscali di 1,2 miliardi, è la locomotiva di tutto lo sport italiano e ha un ruolo sociale rilevante. Il Governo ha destinato forme di ristoro a settori produttivi: perché non viene considerato il calcio che denuncia perdite per 600 milioni, dopo che per un anno viene impedito l’accesso del pubblico negli stadi?".
Sul rischio che molti club non siano più nella condizione di pagare gli stipendi: "Siamo molto vicini al disastro economico-finanziario. Da un lato lavoriamo con la Figc per misure sul ritardo dei pagamenti o l’introduzione di un salary cap. Dall’altro, se non avremo respiro attraverso ristori e dall’entrata in scena dei fondi nella media company della Lega, il rischio che il sistema si fermi è molto alto".
Sull'ipotesi playoff in caso di sospensione del campionato: "Parlo tutti i giorni con Gabriele Gravina. Abbiamo più simulazioni sul tavolo: spero che il campionato si possa concludere regolarmente, se invece intervenissero altri fattori e una sospensione del torneo fosse necessaria, l’assemblea si esprimerà sul cambio di format".
vai a capire certe affermazioni che fanno soltanto gli addetti ai lavori, tutti compresi, dai calciatori ai giornalisti sportivi. Che il calcio sia importante socialmente, che sia ormai un'industria consolidata, lo sappiamo tutti che sia senza regole e senza freni, lo sappiamo altrettanto bene. Ora è chiaro che il calcio non è soltanto serie A o CL, e che esiste un sottobosco molto vasto, ma ciò che muove masse di denaro si limita alle squadre di serie A e B. Volendo stringere ad un numero molto ristretto di squadre. A questo proposito va rilevato che la spirale tra costi e ricavi, a questo livello tende a crescere esponenzialmente e dunque pare abbastanza chiaro che si potrebbero espandere i ricavi all’infinito, ma i costi finirebbero sempre per essere maggiori. Riflettiamo sul fatto che non si possono pagare stipendi da milione al mese, o poco meno, sperando poi che i conti tornano e non si può neppure sorvolare che le prestazioni di un calciatore non possono con la massima normalità valere ormai dai 50 ai 100 milioni, perché è in questo range che si collocano i giocatori da top club. Un capitolo a parte meritano i procuratori, che non hanno alcuna regola da rispettare e spuntano, quasi forzosamente, commissioni che sembrano più tangenti che provvigioni. Le regole contrattuali dei calciatori glielo permettono e nessuno si meraviglia se ceduto un Pogba per un centinaio di milioni, il procuratore ne incassa una ventina. Vero che queste dinamiche riguardano solo una decina di club, ma gli effetti negativi si ribaltano anche sugli altri, perché queste logiche alzano l’asticella dei costi che inevitabilmente si spalma sull’intero sistema. Se un dirigente bancario di livello medio, ma pur sempre un dirigente, guadagna un paio di milioni netti in quarant’anni di onorato servizio, come si giustifica un giocatore medio della serie C che arriva a guadagnare anche 100.000€ netti annui? E’ evidente che ci voglia un calmiere, la situazione era già nota ma il virus l’ha messa a nudo in maniera impietosa, se non si farà, alla ripresa della vita normale, sempre che il calcio ci arrivi, riprenderà la cosa all’oro che in realtà non fa che ingigantire il debito. Così, se oggi un Chiesa qualunque è costato 60 mln, dopo ne costerà almeno 80, se un Dybala qualunque pensa di poter reclamare 15 mln netti annui, dopo ne vorrà 20. Insomma caro Dal Pino, invece di spargere lacrime sulle sorti economiche del calcio, cominciate a mettere un freno a questo “intrattenimento”, non lo chiamiamo neanche più sport, inserite a livello continentale, giacchè ora il male è comune, una Salary Cap, dignitosa, perché un calciatore per quello che fa anche se è un fuoriclasse non può guadagnare più di 5 milioni annui. Disciplinate illavoro dei procuratori, veri saprofiti, perché le loro commissioni non possono equivalere ad una sostanziale comproprietà del cartellino. Il calcio era fenomeno sociale anche ai tempi di Valentino Mazzola che guadagnava 40 volte più di un operaio Fiat, adesso più di qualcuno guadagna 1000 volte di più. Per favore fatevi venire un’idea
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