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  • Davide Ballardini, tra passato e futuro

    Davide Ballardini, tra passato e futuro

    Questa settimana ospitiamo con grande piacere Davide Ballardini, che è tornato a trovarci al Bar Frankie dopo l’esperienza sulla panchina del Genoa nella scorsa stagione, attualmente in attesa di misurarsi con una nuova realtà. La chiacchierata, schietta e mai banale, ce l’ha fatto conoscere sotto punti di vista diversi dal convenzionale.

    Un tecnico appassionato del suo lavoro,  che vede nel calcio anche un’arte“Lo stress è più facile da sopportare per chi come me vede il calcio soprattutto come metodo, conoscenza e arte.” e parla volentieri a “testa alta” delle sue esperienze passate : “Nel mio periodo a Palermo hanno fatto cassa vendendo giocatori che abbiamo valorizzato come Barzagli e Brienza .… a Cagliari ho lasciato un’eredità importante, anche sotto l’aspetto tecnico . .. è stato un dispiacere lasciare il Genoa” e della differenza di allenare in Italia rispetto ad altri paesi europei : “In Europa in genere la pressione è minore, c’è più tempo per esprimersi, la qualità del lavoro è diversa.”

    Ecco l’intervista esclusiva per il Bar Frankie, a cura del nostro Maurizio.

    Sig. Ballardini, lei ha esordito come calciatore nel Cesena, in cui allenava Osvaldo Bagnoli e Sacchi era responsabile delle giovanili. Questi due personaggi hanno influenzato il suo modo di allenare?

    Quando si ha la fortuna di essere guidati da personaggi di questo calibro, qualcosa s’impara sempre. Si tratta di due grandi allenatori. Però poi crescendo, umanamente e professionalmente, girando il mondo, facendo le proprie esperienze, si matura il proprio modo di lavorare, di essere. Io poi mi distanzio dallo schema tipico ‘sacchiano’, per me il calcio è soprattutto ‘gioco’, fatto di rapporti continui coi giocatori durante la settimana, di costante lavoro con la palla, di coerenza tra i reparti, di intensità di movimento. Il calcio per me non è stress, è soprattutto arte e divertimento.

    C’è un’esperienza passata, tra quelle con Cagliari, Palermo, Lazio e Genoa, che l’ha arricchita di più sul piano umano e professionale?

    Tutte le esperienze passate, le buone come le meno buone, lasciano un vissuto che si conserva comunque con riconoscenza.

    Il rammarico è che su 7 anni di lavoro, per 6 volte (io e il mio staff) non  abbiamo potuto esprimerci lungo tutto l’arco della stagione, quindi non si è trattato di periodi lunghissimi. In questi casi si arriva spesso a organico già formato, con la preparazione, le amichevoli e alcune partite ufficiali già disputate, dunque in 5 giorni occorre capire tutto e adattarsi al patrimonio umano disponibile. Mi piacerebbe poter seguire un progetto sin dall’inizio e imbastire il rapporto con la squadra sin dalla preparazione estiva.

    Lei ha lavorato con 4 presidenti ‘impegnativi’: Cellino, Zamparini, Lotito e Preziosi, con quale si è trovato meglio?

    Sicuramente con Zamparini si è instaurato un buon rapporto. Il presidente del Palermo è persona schietta dal punto di vista umano, dice sempre ciò che pensa con trasparenza, e almeno per come sono fatto io questa è una qualità che ho sempre apprezzato. Poi occorre comunque sempre lavorare come sai, adattandoti anche all’interlocutore che hai di fronte. In genere noi abbiamo lasciato sempre terreno fertile ovunque siamo stati; mi piace ricordare di nuovo il caso del Palermo, dove la società poté far cassa vendendo giocatori importanti valorizzati anche da noi, come ad esempio Barzagli e Brienza.

    Con Preziosi, presidente del Genoa, vi siete lasciati di comune accordo oppure la scelta di non rinnovarle la fiducia è stata inaspettata?

    Assolutamente no, è stato un dispiacere lasciare il Genoa, anche perché la squadra, dopo un pessimo inizio, aveva fatto un buon bottino di punti e si era salvata ben prima del termine di campionato. Avrei proseguito volentieri con loro, ma son cose che capitano nel nostro mondo, fanno parte della professione, si accetta e ci si prepara per tornare a lavorare sul campo al più presto.

    Ha avuto in estate qualche contatto per tornare ad allenare? Gradirebbe farlo in corsa oppure attendere di poter sviluppare un progetto dalle fondamenta?

    In estate non ci sono stati contatti importanti, sotto questo aspetto; ora col mio staff ci sentiamo assolutamente pronti per tornare in pista e misurarci con una nuova realtà.

    Lavorerebbe all’estero?

    Non escluderei a priori un’esperienza all’estero, ma il desiderio è di continuare a insegnare calcio in ambito nazionale. Certo, l’impegno nel nostro paese è più stressante che altrove, ma lo stress fa parte del nostro lavoro, ed è più facile da sopportare per chi come me vede il calcio soprattutto come metodo, conoscenza e arte.

    Lei ha spesso utilizzato disposizioni diverse in campo, passando dal 4-3-1-2 al 4-4-2, ottenendo comunque sempre risultati positivi. Non è dunque il modulo, la cosa determinante per il suo credo, quanto la qualità degli uomini a disposizione?

    Beh, essendo spesso subentrati a gioco in corso, ci si deve necessariamente adattare al bagaglio tecnico e umano a disposizione, di conseguenza s’imposta la squadra secondo le migliori possibilità di stare in campo. Detto questo, credo che abbiamo potuto a volte creare comunque qualcosa che durasse nel tempo, vedi Cagliari, dove è praticamente dal 2007, anno in cui arrivai sulla panchina sarda, che si gioca col 4-3-1-2, schema che prevede il trequartista a ridosso di due punte. Ancora oggi i rossoblu isolani si dispongono con Cossu a svariare alle spalle degli attaccanti. Ho quindi lasciato un’eredità importante, anche sotto l’aspetto tecnico.

    Una battuta sul campionato di massima serie. Ha visto qualche novità tecnico tattica importante in questo primo scorcio di stagione? E in Europa c’è qualche realtà che ha attirato la sua attenzione?

    Grosse novità non se ne sono viste. Purtroppo il campionato italiano è un torneo che tende al consolidato,  all’equilibrio, non si sviluppano grandi schemi rivoluzionari. La stessa Roma, che seguo con curiosità, è squadra pragmatica, che attende l’avversario e riparte sfruttando la velocità dei suoi uomini, in particolare Gervinho.  Consideri anche che per un giovane è difficile emergere, qui da noi, mediamente abbiamo rose più vecchie che nel resto d’Europa. All’estero c’è più freschezza d’idee, campionati come la Bundesliga o la Premier sono molto intriganti perché c’è più voglia di sperimentare. In genere la pressione è minore, c’è più tempo per esprimersi, la qualità del lavoro è diversa.

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