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  • Del Piero mania. L'ex capitano: 'Ignoro il silenzio della Juve'

    Del Piero mania. L'ex capitano: 'Ignoro il silenzio della Juve'

    Intervista esclusiva: "Vi racconto cose dell'altro mondo".
    Del Piero: "A Sidney dimentico anche il silenzio della Juventus".
    "Non avrei mai pensato che col club bianconero sarebbe finita così. Rifarei il videomessaggio: volevo restare. Il silenzio di Agnelli? Indifferente. Alla prima partita, Ale lo avrei invitato. Alla festa d'addio Buffon mi disse 'Ti invidio'. Quel giorno i tifosi sono andati oltre".

    The Star. Potrebbe essere il titolo di questa storia, il destino di un ragazzo piacevolmente condannato a essere una stella, appunto, anche dall’altra parte del mondo. The Star è anche il nome di un grande albergo di Sydney, la prima casa australiana di Alessandro Del Piero. L’appuntamento è qui, alle 14.30 di un giorno bellissimo, pieno di sole, luci e colori. Ale sceglie di raccontarsi nel posto dove è iniziata la sua meravigliosa avventura. Arrivandocon passo spedito, accenna da lontano un divertito «good afternoon», ordina un cappuccino e chiede: «Come ha giocato la Juve a Siena?».


    Alessandro, è passato quasi un mese ed è iniziato il campionato: è sempre convinto di aver fatto la scelta giusta?
    «Estremamente convinto. Un mese è ancora poco per dare giudizi, ma l’inizio è confortante sotto ogni punto di vista».

    Cosa sta cercando qui che non ha ancora trovato altrove?
    «Non sono venuto in Australia per cercare,maper vivere qualcosa di diverso. Voglio cogliere tutte le opportunità di questa avventura».

    Si sarebbe potuto godere la vita e i soldi: perché una nuova sfida?
    «Prima di tutto per la voglia di giocare a calcio. E farlo qui offre mille motivazioni supplementari. E poi è un valore aggiunto a livello familiare, non solo per la lingua straniera che mia moglie e i miei figli dovranno imparare, ma anche per i ritmi e le abitudini diverse con cui bisogna confrontarsi in una città tra le prime cinque del mondo per qualità della vita».

    Dall’altra parte del mondo: si sente davvero così?
    «Sì, te lo fanno capire il viaggio eil fuso orario. Il calcio, però, accorcia le distanze: anche qui mi fermanoper la strada per foto e autografi, non solo gli italiani ma anche gli asiatici o gli europei. C’è gente che quando mi incrocia mi dice grazie e non so perché».

    Possiamo dare contorni meglio definiti al progetto che le ha fatto accettare l’offerta del Sydney?
    «Le prime iniziative sono ancoraa livello embrionale. Il calcio qui ha grandi potenzialità, ci sono molti appassionati: cittadini di origine italiana, greca, croata, oltreagli australiani. Ci occuperemodei giovani, della charity, della
    A-League in generale».

    Quante volte è stato al Teatro Regio di Torino e quante pensa di andare all’Opera House?
    «All’Opera House ci sono già stato, ma solo... da fuori. Al Regio più di una volta. Ho l’impressione che in questa città riuscirò a fare qualche passeggiata serena».

    Della popolarità saprebbe fare a meno? O è proprio quello che vuole evitare?
    «Non voglio evitarla, fa parte del lavoro ed è una gratificazione. Sono felice di aver trovato una situazione in cui sembra che io possa scegliere, che possa avere sia la popolarità sia la tranquillità».

    E’ probabile che il suo primo gol in Australia venga visto in tutto il mondo, proprio per il suo ruolo di ambasciatore delcalcio. Sensazioni?
    «E’ molto intrigante. Mi fa davvero piacere essere seguito in modo così particolare anche qui. Ci sono studenti cinesi che vengono all’allenamento, tifosi asiatici che mi hanno anticipato il loro arrivo. Una ragazza siciliana aveva il sogno di vedermi giocare a Torino, non ce l’ha fatta e su twitter mi ha avvisato del suo prossimo viaggio qui. Sto abbracciando il mondo:una sensazione stupenda».

    Come l’ha detto a Sonia?
    «Passo dopo passo: la aggiornavo sempre. Lei mi ha sempre detto: "Scegli e noi veniamo". So che per Sonia questo è un periodo impegnativo».

    E quando suo fratello ha detto a leiche c’era l’offerta del Sydney?
    «Non gli ho risposto, l’ho solo guardato».

    In questi due anni studierà cosa fare da grande?
    «Vivo il presente in modo totale,ma facendolo adesso allargo l’orizzonte per il futuro»

    C’è chi pensa che Sydney siaquasi un ripiego.
    «Si può dire tutto, ma non me ne preoccupo.Ho avuto ampia possibilità di scelta: America, Brasile, Thailandia, Qatar, Spagna, Inghilterra, Cina, Giappone. Ma non ero in cerca dell’offerta economica più allettante. E sul campo ho vinto tutto: non mi serviva giocare un’altra volta la Champions».

    Perché ha detto no al Liverpool?
    «La trattativa con il Sydney eraavanzata e poi ho pensato a quelloche era successo all’Heysel. Juvee Liverpool hanno saputo ricomporre i rapporti, ma per molta gente quella tragedia è un ricordo indelebile»

    Lei ha delle preoccupazioni?
    «Certo. E sono nate nel momento stesso in cui ho deciso di venire qui. Io non ero abituato a cambiare e l’Australia non è a un’ora di volo dall’Italia. Ho iniziato l’avventura con un misto di eccitazione e paura».

    Il giocatore Del Piero è nato tre volte: nel 1994 (l’esplosione), nel 1999 (il ritorno dopo l’infortunio), nel 2006 (Calciopoli). Questa è la quarta vita di Del Piero oil giro di boa di Alessandro?
    «E’ la quarta vita di Del Piero perché sono qui da calciatore. Per vivere e vedere il calcio in un contesto diverso. Però è di sicuro una nuova vita per Alessandro. E per Sonia, Tobias, Dorotea e Sasha».

    Quante volte non ha mandato al diavolo qualcuno perché «Del Piero si comporta bene, Del Piero è un esempio»?
    «E’ successo che mi sia frenato. Se hai un ruolo, devi comportarti bene. Ho sempre avuto questo senso di responsabilità. Poi qualche "vaffa" l’ho fatto volare anch’io: ma a quattr’occhi, non platealmente».

    Si aspettava un livello tecnico più alto nella A-League?
    «E’ presto per dirlo. Nella prima giornata hanno perso le squadre che hanno cercato di costruire, come il Sydney, e hanno vinto quelle che hanno corso di più. Qui, comunque, c’è molto equilibrio grazie al salary cap: tutti possono vincere con tutti».

    Il Sydney si salverebbe in A?
    «Non lo so, davvero. E’ difficile fare un paragone, qui è tutto diverso: la vita, l’ambiente, le trasferte (per andare a Perth ci sono cinque ore di aereo: non le fai nemmeno in Champions), i campi».

    Com’è andato il rito di iniziazione nello spogliatoio?
    «A Wellington, alla vigilia del debutto, ho dovuto cantare davanti ai compagni.Hoscelto "Nel blu dipinto di blu", anche perché i giocatori del Sydney vengono soprannominati Sky Blues. E poi ho chiesto l’accompagnamento di tutta la squadra. Io cantavo "Volare" e loro "oh, oh". Se avrò il coraggio metterò il video su internet, sempre che prima non lo faccia qualche mio compagno...».

    Come va con l’inglese?
    «Vorrei esprimermi meglio. La prossima settimana comincio le lezioni. Finora mi sono dovuto occupare della casa, degli allenamenti e di altro».

    La prima cosa che ha imparato di Sydney?
    «I ritmi rilassati e la disponibilità delle persone che sono più sorridenti e felici. La disoccupazione è sotto il 4% e questo conta».

    Si sente più libero rispetto agli ultimi anni di Juve?
    «Assolutamente sì».

    Lei ha dato sempre l’impressione di controllare e quasi prevedere ogni cosa: la festa dell’addio che le hanno fatto i tifosi durante Juve-Atalanta, però, la sorprese. Vero?
    «Quel giorno i tifosi sono andati oltre. Pensi che me ne hanno parlato anche i miei nuovi compagni del Sydney che videro le immagini in tv. Buffon mi disse "Ti invidio". Io lo sapevo di essere amato, ma così, beh...».

    Torniamo a quel momento, non ne ha mai parlato.
    «Nessuno mi aveva detto che non avrei più giocato nella Juve, ma lo avevo capito. Vedo il tabellone con il mio numero e mi chiedo: "Ma davvero devo salutare? Davvero esco per l’ultima volta dallo stadio?". Mi inchino verso le quattro tribune, saluto i miei familiari nel palco ed esco. Avrei voluto soffermarmi di più, ma ricorda cosa le ho detto a proposito del senso di responsabilità e del dovere? Ecco. Mi sono detto "Ale, vai in panchina e basta"».

    Però poi è successo qualcosa.
    «E’ successo che i tifosi mi hanno trascinato in campo. Ho fatto due giri, mi avranno lanciato cento sciarpe, ogni tanto mi fermavo per godermi il momento. Vedevo la gente piangere. Una festa straordinaria perché spontanea».

    A mente fredda: non è stato meglio chiudere così, con lo scudetto e la festa?
    «La controprova non c’è. Di sicuro è andata benissimo. Ma gli addii lasciano sempre l’amaro in bocca».

    Pensava che con la Juve sarebbe finita in questo modo?
    «No. Un anno e mezzo fa non l’avrei mai detto. Poi le cose cambiano. Mi resta la grandissima soddisfazione di aver dato alla Juve tutto quello che potevo».

    Sorpreso, deluso o indifferente per il silenzio di Andrea Agnelli?
    «Indifferente».

    Lei avrebbe invitato Del Piero alla prima partita di questo campionato?
    «Sì, l’avrei invitato».

    Cosa ha pensato nello scoprire che la Juve non la voleva più e invece la volevano le due grandi rivali di cui lei non dirà mai il nome, che noi non citeremo, ma che hanno la Madonnina sullo sfondo?
    (sorride) «Dico solo grazie a tutte le squadre che mi hanno cercato per non essersi fermati davanti all’età o al fatto che fossi il giocatore simbolo della Juve. Grazie per l’interessamento e per l’affetto».

    Intanto la 10 della Juve è rimasta libera. Contrappasso?
    «La 10 è la maglia più significativa,più sognata, più ambita, più pesante. La più bella. Però non so perché alla Juve sia libera».

    Sugli spalti dello Stadium si vede anche la 10 del Sydney.
    «Mi hanno mandato la foto alcuni amici. Bello, bello».

    Ale, quanto ha pagato quel videomessaggio? Lo rifarebbe?
    «Certo che lo rifarei. La domanda giusta sarebbe: "Perché fece quel videomessaggio?". E la risposta è semplice: c’erano troppe voci intorno al mio contratto. Ci tenevo a chiarire che non facevo problemi di soldi né di durata. Io volevo solo restare alla Juve».
     


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