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DeLa, rischio d’impresa questo sconosciuto

DeLa, rischio d’impresa questo sconosciuto

Di recente ho postato una mia sintetica riflessione sull’atteggiamento che da tifosi stiamo avendo sul mercato del Napoli, ne approfitto ora per articolare un po’ di più il mio pensiero su un argomento leggero epperò, a mio avviso, denso di segnali preoccupanti per noi supporters dell’amato ciucciariello.
Premessa: ritengo che quanto abbiamo visto sino ad ora nel mercato del Napoli (casi Inler e Hamsik su tutti) sia la spia di una strategia societaria di mantenimento, di galleggiamento invece che di crescita. Il che ci può anche stare (non mi piace affatto da tifoso di una squadra come il Napoli, ma purtroppo ci può stare). A patto però che venga dichiarato dalla società, che venga esplicitato e non resti nell’aria come una sensazione subliminale.

Mi spiego meglio: se non sei disposto a riconoscere ai top player un ingaggio che almeno ai avvicini ai parametri di mercato, io tifoso esigo che tu presidente lo dica chiaro e tondo a tutti.
Poi i tifosi, come è giusto che sia, continueranno a dividersi tra gli ottimisti fiduciosi nel colpo di mercato di qui al 31 agosto ed i pessimisti/disfattisti che riprenderanno a lanciare anatemi ed altro nei confronti del presidente. I due ‘partiti’ continueranno ad esserci però intanto sarà stato dato un contributo di chiarezza. E tutti, sia gli ottimisti che i pessimisti, non potranno che convergere almeno su una cosa. Una cosa a mio avviso non di poco conto (vista da tifoso): il Napoli società ancora oggi è solo un micro-passettino avanti a squadre come Udinese, Palermo, Fiorentina ed anni luce indietro a Inter, Milan, Juventus. Sì, anche Juventus, perché  non parlo di risultati sportivi (quelli un anno possono arrivare e l’anno dopo no) ma di programmi ambiziosi di crescita, di investimenti.
Dicevo, non è una cosa di poco conto. Anche perché mi sembra proprio che il DeLa incarni alla perfezione il prototipo dell’imprenditore italiano medio. Quello del “rischio d’impresa questo sconosciuto”. Quello del “l’attività corrente ed i piani di sviluppo (quando ci sono) li finanzio con capitale di debito, intanto faccio ingrossare i patrimoni personali”.
Il male atavico, insomma, delle imprese italiane che, osservate in un medio-lungo periodo, finiscono puntualmente con l’avere performance di gran lunga inferiori a quelle europee. Tranne poche eccezioni.
Qualcuno potrà obiettare: nelle imprese “normali” non c’è il fair play finanziario, nelle società di calcio sì. Fair play finanziario ? Un magnifico paravento per chi non vuole rischiare ‘di tasca sua’.


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