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  • Inter-Milan, parla l'invasore placcato da sei steward: 'So di aver sbagliato, ma era una protesta'

    Inter-Milan, parla l'invasore placcato da sei steward: 'So di aver sbagliato, ma era una protesta'

    L’invasore di campo placcato da sei steward durante Inter-Milan si chiama Alessio Guidotti, ha 21 anni, è di Milano e – fino a sabato scorso - lavorava nei catering di San Siro come cameriere. L’invasione durante il derby della Madonnina gli è costata un Daspo di cinque anni. Ma il ragazzo, intervistato da Fanpage.it, ha spiegato il motivo del suo gesto: “So di aver sbagliato, ma l'ho fatto per una cosa importante. Era una protesta per il lavoro precario di giovani come noi che lavorano per pochi soldi e per contratti di poca durata”.

    IL MOTIVO - Ciò che lo ha spinto ad agire – come ha raccontato - è stato un commento ricevuto da un cliente durante il suo turno di lavoro: “Sabato prima della partita stavo servendo di fretta. Dove c'è il ristorante, c'è la vetrina che fa vedere lo stadio. Erano entrati i giocatori e mi sono fermato un attimo. Un ragazzo mi fa: ‘Tu sei qua per servire, non sei qua per distrarti e guardare la partita. Quand'è che ci porti i piatti?’".

    PROTESTA PACIFICA - Così, a dieci minuti dalla fine della partita e dopo aver sistemato i tavoli e chiuso la sala, ha deciso di invadere il campo in segno di protesta ‘pacifica’: “Non gli rispondi male perché sei lì a fare il professionista, sei un cameriere però ci ho pensato tutta la giornata. Mi ha fatto sentire come quello che sono: sono uno degli ultimi che serve uno dei primi”.

    COME STA - Dopo essere stato bloccato, Alessio è stato ripetutamente colpito con pugni e ha raccontato: "Un po' mi fa male il naso, faccio fatica a sentire gli odori. Mi fa male un po' la testa perché ho sbattuto quando mi hanno tirato i capelli".

    DASPO – In seguito alla denuncia, nei confronti del 21enne è stato emesso un Daspo che non gli consentirà di entrare nello stadio per cinque anni. Ma spera che il suo gesto non sia stato vano e ha lanciato l’appello: “Nessuno ha diritto di dirti quello che sei: mai pensare di essere meno di qualcun altro perché stai servendo un piatto o perché stai portando qualcosa a qualcuno o perché stai lavorando per qualcuno. Siamo tutti così e quindi ci vuole rispetto reciproco altrimenti la società non va avanti”.
     

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