La Bari è un ciclone di entusiasmo e passione, ventimila anime infreddolite in un San Nicola che respira d'amore. Bastano un tiro di Galano o una sgroppata di Stevanovic, ti guardi intorno e vedi occhi che vogliono illudersi, sorrisi sinceri, voglia di serie A. De Luca fa ancora la zanzara, punge il Pescara e vissero tutti (quasi) felici e contenti, perché un punto è sempre meglio di una sconfitta ma il rimpianto di Mangia è quello di costruire tanto e subire sempre gol al primo spiffero. Il difetto è centrale, dove Ligi nelle ultime due e Rossini ieri pagano errori più individuali che collettivi, mentre davanti Wolski non è quello che la Fiorentina aveva lanciato in qualche spezzone. Sembra piatto il polacco, non incide e non morde, forse avrebbe bisogno di giocarne quattro di fila ma la B non ti aspetta. A gennaio, magari anche prima, il ds Antonelli completerà un lavoro certosino iniziato l'estate scorsa, l'esempio di Contini (preso tra mille dubbi, oggi leader della difesa) può esserne il biglietto da visita. La società è sana e solida, di russi nemmeno l'ombra: Paparesta vigila da buon presidente di famiglia e lavora per migliorare brand e immagine. Il fatturato dovrebbe aggirarsi presto sui 10 milioni, parecchi in arrivo dal botteghino, con il marketing in netta crescita. Adesso, in pratica, il club si autofinanzia e in caso di promozione le prospettive -anche economiche- cambierebbero molto, ecco perché Paparesta quando parla alla squadra trasmette sempre lo stesso messaggio: "Dobbiamo vincere!", detto in tono non minaccioso per carità ma pur sempre diretto e senza mezzi termini. Poi rivedi le immagini di Cassano che segna sotto la Nord e pensi a quanto sarebbe affascinante consegnargli di nuovo la dieci con il galletto sul cuore. E potrebbe non essere solo un sogno di mezzo autunno. Lui tornerebbe anche volentieri, spesso si sente con gli amici dentro la società, tutti segnali di affetto. Che storia sarebbe un'altra sua Bari.

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