di Xavier Jacobelli
direttore www.quotidiano.net

Il Napoli secondo in classifica, a tre punti dalla capolista quando mancano sette giornate alla fine e ventun anni dopo l'ultima volta, non è nè un miracolo nè un caso. E' il frutto del gioco di una squadra vera e del lavoro di un allenatore sempre più consapevole della propria bravura; è il risultato di un impegno pluriennale, serio e programmato; di un'organizzazione societaria che funziona; di un bilancio gestito con oculatezza; di un pubblico che non aspettava altro se non di esaltarsi grazie alle imprese dei propri giocatori. La toccante accoglienza riservata dal San Paolo a Reja prima del calcio d'inizio, dimostra come la riconoscenza esista anche nel calcio: se il Napoli è arrivato così in alto, il merito è stato anche del quinquennio vissuto sotto la guida del tecnico goriziano che ha avuto il coraggio e la forza di prendere in mano la squadra in serie C e riportarla in quella che allora si chiamava ancora Coppa Uefa. Bene ha fatto Mazzarri a sottolinearlo, alla vigilia del primo ritorno di Reja nei panni dell'avversario. Indipendentemente dalle poolemiche di Lotito sull'operato di Banti e dei suoi assistenti, un autentico disastro, il 4-3 alla Lazio legittima ancora una volta le ambizioni di scudetto di un gruppo illuminato dalla straordinaria forma di Cavani, ma sarebbe ingeneroso pensare che il boom partenopeo coincida soltanto con l'esplosione dell'uruguaiano. Il Napoli è una squadra che non si arrende mai, che ama le rimonte, che ora più che mai non ha niente da perdere: qualunque sia il risultato finale della corsa scudetto, ha già vinto comunque. De Laurentiis non aveva chiesto ai suoi di vincere il titolo, ma di migliorare il risultato dell'anno scorso, cioè di entrare in Champions League. La strada è tracciata, il finale è tutto da scrivere. Ma tutto quello che il Napoli s'è conquistato sinora, se l'è meritato sul campo. Ed è questo ciò che conta.