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  • E' il grande giorno di Conte in Europa: servono unità e liquidità. Italia, senza UE faresti peggio

    E' il grande giorno di Conte in Europa: servono unità e liquidità. Italia, senza UE faresti peggio

    • Fernando Pernambuco
      Fernando Pernambuco
    L'Eurogruppo di oggi, che dovrà prendere decisioni condivise per arginare la crisi e finanziare la ripresa di molti Paesi aderenti all’UE, si presenta cruciale, ma non definitivo. Non è l’ultima spiaggia dopo la quale l’Europa Unita resta in piedi oppure collassa. Ma, piuttosto, un appuntamento da cui deve uscire un comunicato congiunto che esprima l’acquisizione di strumenti ulteriori oltre al Sure (il fondo europeo per la cassa integrazione) o alla certificazione del grande impegno della BCE (un massiccio acquisto dei titoli di debito pubblico delle nazioni comunitarie) e allo stesso MES (fondo salvastati) sia pure modificato. Queste cose le sappiamo già e sappiamo che non bastano: ci vuole liquidità. Se dopo uno o due giorni di confronto, ci si mostrasse divisi e inconcludenti avremmo immediatamente lo scoppio della prima bomba: lo spread dei titoli di Stato italiano schizzerebbe in alto e la BCE non potrebbe resistere più di tanto nel loro acquisto massiccio. Ma l’Europa Unita non sarebbe ancora collassata.

    Sul tavolo oltre al MES, da prendere in considerazione, ci sono altre proposte. Il MES, lo abbiamo già detto, non è quel mostro che sembra. La versione cosiddetta “dura”, quelle con condizioni stringenti e la possibilità di finire sotto il controllo di organismi internazionali è stato utilizzata con successo, da Spagna, Portogallo, Irlanda, Cipro, tutti usciti dalle loro crisi in condizioni migliori dell’Italia, rimborsando, in certi casi, anche in anticipo il prestito. Nei 6 anni precedenti al Covid-19, la Spagna è cresciuta del 17%, il Portogallo del 12%, Cipro del 21%, l’Italia (che non richiese il MES) del 5%. Il caso Grecia fu diverso. Oggi il Paese, dopo i vari interventi adottati, paga interessi per il proprio debito inferiori a quelli italiani in rapporto al PIL. Certo, il programma di salvataggio fu varato in ritardo e prima che esistessero fondi salavastati tipo MES, però va anche ricordato che tutte le decisioni di intervento economico verso la Grecia furono prese dal maggio 2010 al 2018 dal Consiglio dei Ministri Europei, con la partecipazione dell’Italia. In particolare con la presenza dei Ministri dell’Economia dei vari governi di quel periodo: di centrodestra, centrosinistra e tecnici (Monti ). L’Italia non si oppose certo a quelle misure. L’esperienza greca non riguarda dunque il Mes (assai migliore e creato in seguito, proprio per essere immediatamente disponibile in casi di crisi) e invocarla, oggi, per denigrare proprio il MES è un falso storico. 

    La proposta attuale configura un MES “Covid facility”, applicabile solo alla spesa sanitaria, per un ammontare del 2% lordo del Pil d’un Paese, e, soprattutto, con tassi migliori sul mercato,  allineati al miglior rating (tripla A) più una commissione. La scadenza del prestito si situerebbe tra 5 o 10 anni. Con i dati di metà aprile, ipotizzando una scadenza a 10 anni, l’interesse sarebbe di circa lo 0,4%. L’emissione di titoli di Stato italiani, per lo stesso finanziamento (circa 36 miliardi) con la medesima scadenza configurerebbe un tasso di circa l’1,8%. Ma sul MES si è scatenata una lotta politica all’insegna del motto: “Non passa lo straniero”, soprattutto da parte di chi quello strumento, giustamente, lo volle fin dal 2010.

    Siccome una delle questioni fondamentali gira attorno al nodo dei prestiti, il MES è un’opportunità da considerare anche perché, a differenza di altri strumenti, è immediatamente erogabile e a tassi bassi. I fattori essenziali per la ricerca del liquido nel cuore della crisi, sono infatti, due: rapidità e tassi bassi non esposti alla volatilità, cioè a possibili, repentini aumenti. Si tratta, quindi, di creare nuovi titoli di debito pubblico europeo per finanziare gli Stati, ma anche in questi casi si tratterebbe di corrispondere comunque restituzione di capitale e un interesse a chi li acquista. La garanzia europea creata con la somma di Stati forti e dal debito più che affidabile, dovrebbe tenere i tassi d’interesse bassi, ma avrebbe bisogno di un mutuo sacrificio economico da parte di tutti. E anche di un certo lasso di tempo, perché, in alcuni casi, richiederebbe modifiche giuridiche dei trattati, che avrebbero necessità del coinvolgimento di Parlamenti e Corti Costituzionali (vedi la Germania ). 

    Per evitare queste difficoltà, la Spagna, riprendendo le indicazioni dell’economista italiano Guido Tabellini, rilancia l’idea di un “Debito perpetuo”, cioè di sovvenzioni senza scadenza di rimborso ovvero a fondo perduto per un valore di 1.500 miliardi. E qui partono le ipotesi: il “Debito” sarebbe finanziato, in parte col bilancio europeo, con una tassa ecologica sulle emissioni CO2 e con un’emissione sul mercato di titoli stragarantiti dal bilancio Europeo. Il vice Ministro dell’Economia Castelli se ne dice entusiasta “perché sarebbero a tasso zero”. Purtroppo così non può essere, perché comunque una cedola, in genere più alta della media del mercato, va pagata se non altro per essere appetibile. La Commissione Europea potrebbe pagarla con un piccolo aumento dei contributi pagati dai vari Stati e, appunto, emettendo obbligazioni sul mercato

    Per domani, la Meloni invita il Presidente Conte a fare la faccia cattiva e a minacciare l’uscita dall’Europa dell’Italia, Salvini dall’Euro ci vorrebbe uscire subito. Ma non sembra questa la via migliore per una Nazione come la nostra capace di aumentare ogni anno il proprio debito pubblico e crescere, tuttavia, assai poco. Se non sappiamo tagliare le spese improduttive, allestire una pubblica amministrazione che funzioni, far pagare le tasse in modo certo non solo ai dipendenti con stipendio, utilizzare tutti i fondi europei, non sperperare in mille rivoli le imposte pagate dai cittadini o, dopo due mesi, allestire esami incrociati tamponi-siero per la popolazione, la colpa non è dell’Europa. Da soli sapremo far meglio? Alberto Alesina e Francesco Giavazzi rispondono sul Corriere della Sera: no, faremmo peggio. Semplicemente perché diventeremmo, col nostro debito pubblico e con l’inflazione galoppante della nuova/vecchia lira, un Paese inaffidabile, da cui gli investitori fuggirebbero. I nostri titoli di Stato perderebbero valore e i tassi salterebbero in alto portandoci dritti verso il default. L’inflazione eroderebbe il potere d’acquisto e, a quel punto, faremmo la spesa, con le sporte piene di vecchie/nuove lire, per comprare molto meno di quello che possiamo acquistare, oggi, con l’Euro.

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