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  • Federsupporter: Alfano vara il daspo di gruppo e la Figc non deferisce Tavecchio per razzismo. Dov'è l'errore?

    Federsupporter: Alfano vara il daspo di gruppo e la Figc non deferisce Tavecchio per razzismo. Dov'è l'errore?

    Caro Direttore,

    con un comunicato del 31 luglio scorso,
    Federsupporter informava di aver segnalato alla Procura Federale presso la FIGC ed alla Procura Generale dello Sport presso il CONI, per quanto di rispettivo interesse e di rispettiva competenza, le dichiarazioni pubblicamente rese dal Presidente della Lega Nazionale Dilettanti, ragionier Carlo Tavecchio, in occasione della presentazione della sua candidatura alla Presidenza federale. 
    Nella segnalazione si rimarcava il rilievo, anche internazionale, assunto da tali dichiarazioni, nonché il fatto che sarebbe risultato evidentemente molto increscioso, imbarazzante e destabilizzante che un eventuale deferimento per le suddette dichiarazioni fosse intervenuto dopo l’elezione, peraltro ritenuta molto probabile, del sunnominato rag. Tavecchio a Presidente della FIGC.
    Alla data odierna, nel momento in cui scrivo queste note, a distanza di appena tre giorni dalla data stabilita (11 agosto) per l’elezione, non risulta che tale deferimento sia intervenuto.
    Ciò premesso, ricordo quanto recita l’art. 11 del Codice di Giustizia Sportiva della FIGC: “ Costituisce comportamento discriminatorio, sanzionabile quale illecito disciplinare, ogni condotta che, direttamente o indirettamente, comporti offesa, denigrazione o insulto per motivi di razza, colore, religione, lingua, sesso, nazionalità, origine territoriale o etnica.”.
    Queste le dichiarazioni del rag. Tavecchio : “ L’Inghilterra individua dei soggetti che entrano, se hanno professionalità per farli giocare, noi, invece, diciamo che Optì Pobà è venuto qua, che prima mangiava le banane, adesso gioca titolare nella Lazio e va bene così. In Inghilterra deve dimostrare il suo curriculum e il suo pedigree”.
    Alla luce di quanto stabilito dal richiamato art. 11 e delle suddette dichiarazioni, sfido chiunque, senza dover essere fini giuristi, a ritenere che esse non integrino una “ condotta che,direttamente o indirettamente, comporti offesa, denigrazione o insulto” per, in questo caso, “ motivi di razza e colore”.
    Dichiarazioni che, così come da me rilevato nelle mie Note del 4 agosto scorso ( www.federsupporter.it), secondo una copiosa giurisprudenza, di legittimità e di merito, potrebbero essere penalmente rilevanti e che, a maggior ragione, non possono non esserlo nell’ambito di un ordinamento, come quello sportivo, che si basa- si dovrebbe basare- su principi, valori e doveri più etico-morali che giuridico-penali.
    Cosa della quale, d’altronde, fa fede il chiaro ed inequivocabile tenore letterale dell’art. 11 richiamato.
    Nonostante ciò, almeno finora, tutto tace e si debbono anche leggere interventi sulla stampa, a difesa, a mio avviso, dell’indifendibile e che espongono tesi, sempre a mio avviso, piuttosto ardite ed alquanto sconcertanti. 
    Mi riferisco, più precisamente, ad un articolo pubblicato ieri, 7 agosto, su “Il Messaggero”, a pag 30, in cui si riporta un parere, attribuito ad un ex componente della Procura federale della FIGC, secondo il quale nella “ frase pronunciata da Carlo Tavecchio non c’è quella rilevanza disciplinare che imporrebbe l’intervento della Procura”.
    Frase” prosegue il parere” sicuramente infelice, ma che non ha né conformazioni lesive e né razzistiche”.
    Non solo, ma decisivo sarebbe che “ Tavecchio si sia subito pubblicamente scusato per quanto detto”, cosicchè tale excusatio  “ fà poi cadere ogni procedura”.
    Dunque, identificare calciatori stranieri di colore, facendo ricorso alla fantomatica figura di Optì Pobà, equivalente, per percezione, significato e valore, a quella di un “ Bingo Bongo”, con gente che, pur di venire a giocare in Italia “ Mangiava le banane” e che, oltre a non avere il necessario curriculum non ha neppure un “ pedigree”( termine comunemente usato per indicare genealogie non umane, bensì animali), non sarebbe una condotta discriminatoria, vietata e sanzionata dal predetto art. 11, ma una pura e semplice “ frase infelice”.
    A  nulla rileverebbero, altresì, le aggravanti costituite dalla veste istituzionale di chi quella frase ha pronunciato e dalle circostanze di tempo e di luogo in cui essa è stata pronunciata.
    Vieppiù sconcertati, lascia, inoltre, la singolare tesi, per cui, essendosi il rag. Tavecchio scusato, -peraltro, non subito, ma solo dopo lo scandalo suscitato dalle sue parole- tali scuse farebbero venire meno l’illiceità disciplinare della condotta tenuta.
    Qualora così fosse, sarebbe  sufficiente per qualsivoglia tesserato che profferisse offese, denigrazioni, insulti discriminatori nei confronti di singoli o di collettività, come avvenuto nella fattispecie, scusarsi a posteriori per sfuggire a qualsiasi sanzione. 
    Allo stesso modo, per qualsiasi tifoso o gruppi di tifosi che si lasciassero andare a espressioni o manifestazioni discriminatorie sarebbe sufficiente scusarsi ex post per sfuggire ad ogni conseguenza.
    Si tratta, a mio avviso, di tesi inaccettabili e che, se accolte, produrrebbero, come ognuno può ben comprendere, effetti a catena devastanti. 
    Laddove, a tutto voler concedere, le scuse possono, al massimo, essere considerate come una attenuante, giammai come una esimente.
    La verità è che, così come sancito dalla giurisprudenza sportiva (vedasi, in particolare, la decisione della Corte di Giustizia federale, a Sezioni Unite, del 28 novembre 2013), ciò che costituisce un effettivo atteggiamento discriminatorio, distinguibile dal mero insulto becero e ineducato, anch’esso, comunque, sanzionabile, è quello ghettizzante che crea  delle barriere e ridicolizza i destinatari,individuati, nel caso esaminato, per provenienza territoriale e, nel caso in oggetto, per razza e colore.
    Un atteggiamento che risulta discriminatorio, se e in quanto limitativo della dignità, libertà e dei diritti della persona.
    Un atteggiamento, cioè, specifica la Corte, lesivo della più intima libertà e dignità delle persone che hanno ragione di sentirsi offese in quanto identificate come appartenenti ad una data collettività: nel caso di specie, ad una determinata razza e con un determinato colore della pelle.
    Concludo, affermando che i fatti di questi giorni, anzi di queste ore, naturalmente sempre con la speranza di essere poi smentito, dimostrano, ancora una volta, come, purtroppo, nel calcio le regole non sono uguali per tutti e, anzi, che l’ unica regola che sostanzialmente  vige è quella che non esistono regole, ma solo convenienze. 
    A proposito di regole, sottolineo, così come già evidenziato nelle mie citate Note del 4 agosto scorso, che il CONI avrebbe potuto – dovuto ?- già commissariare da tempo la FIGC, per grave violazione del diritto sportivo da parte degli Organi federali ( art. 23, comma 3,  dello Statuto del CONI), avendo tali Organi violato la norma ( art. 26, comma 1, dello Statuto federale), secondo cui, nel Consiglio della FIGC, “deve essere assicurata una equa rappresentanza di atlete”;  violazione che, peraltro, costituisce una tipica condotta discriminatoria per motivi di sesso.
    Solo per i tifosi, gli “ utili idioti” del sistema ( essi , pur finanziandolo, sono ritenuti estranei all’ordinamento sportivo e, quindi, non hanno alcun diritto di elettorato attivo alla Presidenza federale, per la quale votano a momenti anche i raccattapalle), sembra valere il principio“ dura lex sed lex”.
    Tifosi per i quali, come al solito, si annunciano, con imminente provvedimento legislativo, ulteriori restrizioni e sanzioni sempre più rigorose e severe, fino, almeno così sembra, al “ Daspo di gruppo”, in barba al principio costituzionale di responsabilità e pericolosità esclusivamente personali. 
    Ne deriva che  un tifoso, pur non avendo fatto nulla, per la sola sventura di trovarsi sullo stesso pulmann o nello stesso vagone ferroviario in cui un altro tifoso, magari a lui del tutto sconosciuto, abbia commesso qualche “ atto infelice”, potrà vedersi comminato un Daspo anche per la durata di otto anni. 
    A meno che, anche per i tifosi, così come per i Presidenti, le scuse postume valgano come esimente: per dirla con Totò, Ma ci facciano il piacere !”

    Avv. Massimo Rossetti
    Federsupporter

     

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