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  • Felipe Melo, non era meglio Duncan?

    Felipe Melo, non era meglio Duncan?

    • Sandro Sabatini
    Peggio del Felipe Melo degli anni juventini, c’è solo il Felipe Melo di questi mesi interisti. O forse sono pari: perché peggio di allora (e ora) non si può. La sintesi dell’Inter non è solo questa: ovvio. Sarebbe ingeneroso nei confronti del giocatore, che pure non merita tanta generosità di giudizio. Sarebbe comunque scorretto, e non va bene, sebbene proprio lui sia un esempio mondiale di scorrettezze. Sarebbe, anzi “è” sicuramente sbagliato indicare un unico colpevole: il brasiliano dai piedi e dai comportamenti discutibili.

    Però Felipe Melo merita, almeno stavolta, di non passare inosservato nelle sue controverse esibizioni. Il problema non è soltanto il maldestro assist regalato a Morata in Coppa Italia. Determinanti sul giudizio sono i danni combinati contro la Lazio, nel turno pre-natalizio di campionato: è quello il “regalo” che incide su tutta la stagione dell’Inter. Proprio lì, in quei momenti di follia non inediti nel suo curriculum, Felipe Melo esibì le sue caratteristiche peggiori: giocatore disordinato e scoordinato, sia nel fisico che nella testa. Un riassunto di difetti.

    Alla scelta di Felipe Melo è inevitabilmente legato il giudizio sull’operato di Mancini. E’ già usata, e forse anche abusata, la critica che sfoglia le pagine di Podolski e Shaqiri, simboli di strategie frettolose e superficiali. Quei giocatori, il Mancio non li conosceva direttamente. Gli piacevano. E così s’era fidato di se stesso e del proprio intuito. Aveva sbagliato. Ma se pensare prima di decidere è un pregio, ripensare alle decisioni non è un difetto. Sbagliare un acquisto o un passaggio: ci sta. Basta non esagerare, però. E basta non sbagliare l’unico acquisto sul quale c’erano referenze dirette dell’allenatore e diffidenze assortite dell’ambiente: quello di Felipe Melo, appunto.

    Come si fa a prendere un giocatore così problematico, dopo averlo conosciuto e allenato al Galatasaray? Domanda senza risposta. Ma oltre alla conoscenza diretta, non andava sottovalutato un indizio suggerito da Google. Una normale consultazione. Come fosse una ricerca su Linkedin per intuire qualcosa su un qualsiasi neo-assunto. Provare a digitare “Felipe Melo allenatore” e tra i primi risultati emergeranno le parole che pronunciò alla Juve subito dopo l’esonero di Ciro Ferrara. La sintesi è un duro e ingeneroso atto d’accusa nei confronti dell’allenatore: un classico, per qualsiasi calciatore che guardando verso la panchina cerca (e spesso trova) un alibi “nazionalpopolare” per evitare le proprie responsabilità e anche i fischi dei tifosi. Il tempo - galantuomo - ha dato ragione al buon Ferrara.

    Sottolineando un passaggio di quella intervista, leggete qui con attenzione: “Io non sono un regista. Ferrara mi chiede cose che non so fare, non rientrano nelle mie caratteristiche. Il mio compito è quello di rubare i palloni e di spingere in avanti. Non certo impostare l’azione. Questo spetta ad altri”. Testuale. E allora: siccome un centrocampista dovrebbe essere bravino anche a giocarlo, il pallone, e non solo a colpirlo a casaccio, con quelle parole Felipe Melo aveva autografato il proprio testamento. Usciva dalla cerchia dei centrocampisti di livello internazionale. Entrava in quella, ben più ampia, dei mestieranti di professione. Uno di quei tanti giocatori cui si può affidar tutto, nella vita, meno un paio di cose: l’impostazione del gioco e la leadership della squadra. Mancini lo conosceva. Al Galatasaray non era tanto diverso, Felipe Melo. L’errore è imperdonabile.

    In ogni caso, come insegnano nelle scuole di calciomercato, “puoi sbagliare un acquisto, ma non una cessione”. Puoi sbagliare a prendere Kondogbia per 40 milioni, ma non a vendere Duncan per qualche spicciolo. E’ successo qualche mese fa: il ventitreenne centrocampista ghanese lasciato alla Sampdoria per due milioni e mezzo, poi l’ha preso il Sassuolo fissando il prezzo a sei milioni. E’ successo invece qualche domenica fa: Kondogbia da una parte, Duncan dall’altra. Non c’era differenza. Se non di altezza, prezzo e ingaggio.

    Duncan è un piccoletto tuttomuscoli e grinta. Non è un fenomeno, sia chiaro. Ma sa giocare in tutti i ruoli del centrocampo. Ci mette l’anima. Corre, marca, contrasta, riparte. Ed ha anche un bel tiro da lontano. E’ ghanese con una storia speciale. Venne adottato da una famiglia di Pistoia e poi “adottato” anche dal settore giovanile dell’Inter. Potrebbe giocare (meglio) al posto di Kondogbia e anche di Felipe Melo. E se all’Inter manca (anche) Duncan, si spiega tutto. O quasi…
     

    Sandro Sabatini (giornalista Mediaset  -  Premium Sport)
    Twitter: @Sabatini  -  Facebook: SandroSabatiniOfficial

     
     

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