Calciomercato/Getty
Fonseca vs Leao, un braccio di ferro dall'esito scontato
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Siamo giunti alla resa dei conti, da qui non si scappa. Paulo Fonseca è liberissimo di definirla una scelta esclusivamente tecnica - il che presupporrebbe il fatto che il suo gradimento del giocatore sia molto basso - e di evitare in ogni modo di pronunciare la parola “caso”. Ma in fondo gli eccessi di sincerità nelle sue analisi della partita e di un momento sono ormai un marchio inconfondibile dell’allenatore portoghese. Che non più tardi di un paio di giorni fa, parlando dell’esclusione di Rafael Leao dalla formazione titolare contro il Napoli, si è lasciato scappare queste parole: "Io gestisco le cose con i calciatori in maniera diversa. Non c'è nessun conflitto tra noi, è solo un'opzione dell'allenatore. Cerchiamo di motivare i giocatori con diverse modalità, poi sta ai calciatori metterci la giusta abnegazione: non devo pregarli".
La probabilissima terza esclusione consecutiva dell’attaccante classe ‘99 dall’undici di partenza, anche se dovesse avvenire in occasione di una gara di minor fascino rispetto alla proibitiva trasferta contro il Real Madrid di martedì prossimo, è un altro passaggio di una crisi conclamata tra due personalità che evidentemente faticano ad entrare in contatto ed in confidenza. O Fonseca o Leao, o Paulo o Rafa. Il tecnico chiede cose che oggi - forse mai - il calciatore è in grado di dargli, sul piano dell’intensità e dell’agonismo; al tempo stesso il numero 10 rossonero rinfaccia indirettamente al suo allenatore l’assenza di un contesto di gioco che lo aiuti ad esprimersi al meglio e che, di riflesso, contribuisca a risollevare il Milan dalla pesante situazione nella quale si è cacciato. Cinque sconfitte su 12 partite ufficiali, 3 in un campionato che vede il Napoli scappare a +11 (seppur con un match in più), e una in Champions League a cui presto potrebbe seguirne un’altra, da pronostico, complicando ulteriormente la rincorsa ad un piazzamento che valga quanto meno la partecipazione ai playoff per gli ottavi di finale.
Le colpe sono di tutti e di nessuno, quindi diventano di tutti. I problemi sono molteplici in casa Milan e imporrebbero l’intervento di un’entità superiore, ma ormai abbiamo capito che in questa “guerra” quotidiana l’allenatore è condannato, per definizione, a rimanere da solo. E da solo Fonseca sta provando a venirne fuori, cercando non solo di imporre concetti calcistici diametralmente opposti a quelli del predecessore Pioli, ma anche ad imporre una democrazia nello spogliatoio che in questo sport ed in particolare ad alti livelli è mera utopia. I più bravi, quelli che, banalizzando, ti fanno vincere le partite sono destinati ad avere un trattamento di riguardo. E’ fisiologico che per loro le regole valgano fino ad un certo punto. Non sarà eticamente corretto, ma negli spogliatoi non ci si impone con le buone maniere e i sani princìpi. Tradotto, in parole povere: per tornare come minimo in linea di galleggiamento, il Milan ha bisogno del miglior Leao (ma anche del miglior Theo Hernandez, del miglior Maignan, del miglior Reijnders e del miglior Morata) per cambiare rotta.
Paulo Fonseca è uomo di mondo ed è perfettamente consapevole che, senza una sterzata nelle prossime tre partite contro Monza, Real Madrid e Cagliari, la sua panchina tornerebbe a traballare pericolosamente, ancora più che nelle precedenti soste del campionato e che un ulteriore scossone potrebbe farlo cascare in terra e lasciarlo a piedi. Perché il Milan non può permettersi, anche per ragioni economiche, di perdere troppo terreno dalla zona Champions League, l’obiettivo minimo dichiarato dalla società. E farlo, svalutando anche una fetta importante del patrimonio tecnico della rosa, avrebbe un peso diverso nelle valutazioni della dirigenza. Che, come sempre accade, si vedrebbe nella situazione di fare una scelta necessaria per il bene collettivo. Dimostrare coi fatti di credere nel progetto affidato a Fonseca - contratto con scadenza nel 2027 - e prepararsi al sacrificio di Leao, magari già a gennaio per monetizzare al meglio la sua cessione, o trovare un nuovo allenatore che sappia recuperare la migliore versione dell’attaccante e salvare una stagione che sta prendendo una piega molto inquietante?
Di casi simili nella storia del calcio è pieno e raramente si risolvono in favore dell’allenatore di turno. Ci sono casi isolati e celebri come la disfida tra Roberto Baggio e Marcello Lippi alla Juventus, risolta dalla promozione di Del Piero in luogo del Codino, o quella tra Hector Cuper e Ronaldo il Fenomeno. Ma i precedenti, nella maggior parte dei casi, parlano a favore dei giocatori perché è con quelli che alla fine si vincono le partite e si conquistano i trofei. Non fa eccezione nemmeno questo Milan che, al netto delle tante altre situazioni di difficile risoluzione, non può immaginare di venirne fuori senza uno dei suoi migliori calciatori. Fonseca lo sa benissimo e probabilmente ha deciso di percorrere, consapevolmente, una strada senza uscita, con lo scopo di affermare i suoi valori e le sue idee. Indipendentemente da come andrà a finire e dall’esito (scontato) di questo braccio di ferro con Leao. Un braccio di ferro in cui il vincitore appare sempre più chiaro.
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La probabilissima terza esclusione consecutiva dell’attaccante classe ‘99 dall’undici di partenza, anche se dovesse avvenire in occasione di una gara di minor fascino rispetto alla proibitiva trasferta contro il Real Madrid di martedì prossimo, è un altro passaggio di una crisi conclamata tra due personalità che evidentemente faticano ad entrare in contatto ed in confidenza. O Fonseca o Leao, o Paulo o Rafa. Il tecnico chiede cose che oggi - forse mai - il calciatore è in grado di dargli, sul piano dell’intensità e dell’agonismo; al tempo stesso il numero 10 rossonero rinfaccia indirettamente al suo allenatore l’assenza di un contesto di gioco che lo aiuti ad esprimersi al meglio e che, di riflesso, contribuisca a risollevare il Milan dalla pesante situazione nella quale si è cacciato. Cinque sconfitte su 12 partite ufficiali, 3 in un campionato che vede il Napoli scappare a +11 (seppur con un match in più), e una in Champions League a cui presto potrebbe seguirne un’altra, da pronostico, complicando ulteriormente la rincorsa ad un piazzamento che valga quanto meno la partecipazione ai playoff per gli ottavi di finale.
Le colpe sono di tutti e di nessuno, quindi diventano di tutti. I problemi sono molteplici in casa Milan e imporrebbero l’intervento di un’entità superiore, ma ormai abbiamo capito che in questa “guerra” quotidiana l’allenatore è condannato, per definizione, a rimanere da solo. E da solo Fonseca sta provando a venirne fuori, cercando non solo di imporre concetti calcistici diametralmente opposti a quelli del predecessore Pioli, ma anche ad imporre una democrazia nello spogliatoio che in questo sport ed in particolare ad alti livelli è mera utopia. I più bravi, quelli che, banalizzando, ti fanno vincere le partite sono destinati ad avere un trattamento di riguardo. E’ fisiologico che per loro le regole valgano fino ad un certo punto. Non sarà eticamente corretto, ma negli spogliatoi non ci si impone con le buone maniere e i sani princìpi. Tradotto, in parole povere: per tornare come minimo in linea di galleggiamento, il Milan ha bisogno del miglior Leao (ma anche del miglior Theo Hernandez, del miglior Maignan, del miglior Reijnders e del miglior Morata) per cambiare rotta.
Paulo Fonseca è uomo di mondo ed è perfettamente consapevole che, senza una sterzata nelle prossime tre partite contro Monza, Real Madrid e Cagliari, la sua panchina tornerebbe a traballare pericolosamente, ancora più che nelle precedenti soste del campionato e che un ulteriore scossone potrebbe farlo cascare in terra e lasciarlo a piedi. Perché il Milan non può permettersi, anche per ragioni economiche, di perdere troppo terreno dalla zona Champions League, l’obiettivo minimo dichiarato dalla società. E farlo, svalutando anche una fetta importante del patrimonio tecnico della rosa, avrebbe un peso diverso nelle valutazioni della dirigenza. Che, come sempre accade, si vedrebbe nella situazione di fare una scelta necessaria per il bene collettivo. Dimostrare coi fatti di credere nel progetto affidato a Fonseca - contratto con scadenza nel 2027 - e prepararsi al sacrificio di Leao, magari già a gennaio per monetizzare al meglio la sua cessione, o trovare un nuovo allenatore che sappia recuperare la migliore versione dell’attaccante e salvare una stagione che sta prendendo una piega molto inquietante?
Di casi simili nella storia del calcio è pieno e raramente si risolvono in favore dell’allenatore di turno. Ci sono casi isolati e celebri come la disfida tra Roberto Baggio e Marcello Lippi alla Juventus, risolta dalla promozione di Del Piero in luogo del Codino, o quella tra Hector Cuper e Ronaldo il Fenomeno. Ma i precedenti, nella maggior parte dei casi, parlano a favore dei giocatori perché è con quelli che alla fine si vincono le partite e si conquistano i trofei. Non fa eccezione nemmeno questo Milan che, al netto delle tante altre situazioni di difficile risoluzione, non può immaginare di venirne fuori senza uno dei suoi migliori calciatori. Fonseca lo sa benissimo e probabilmente ha deciso di percorrere, consapevolmente, una strada senza uscita, con lo scopo di affermare i suoi valori e le sue idee. Indipendentemente da come andrà a finire e dall’esito (scontato) di questo braccio di ferro con Leao. Un braccio di ferro in cui il vincitore appare sempre più chiaro.
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