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  • Francesco Guidolin, l’Udinese scala come lui

    Francesco Guidolin, l’Udinese scala come lui


    Si è scelto la casa. Intorno, immensità e montagne. Ne ha scalate abbastanza Francesco Guidolin, ma quelle del Friuli devono infondergli una speciale sicurezza ristoratrice. Ha prolungato il contratto fino al 2015 con l‘Udinese, ha messo il dito sulla cartina togliendolo dalle piaghe di chi, in passato, non l‘aveva capito fino in fondo. Perché qui, a Udine, Guidolin ha trovato la sua vetta, la sua big, la grande squadra mai allenata in ventitré anni d’onorata carriera.

    Strana storia quella dell’allenatore di Castelfranco Veneto, una storia a tappe come le lunghe corse in bicicletta, la sua passione. La prima, col Giorgione in C2 nell‘88/89, è disegnata per velocisti: uno sprint a qualche giornata dalla fine dopo l’esonero di Mognon culminato con un retrocessione che di buono, però, non promette proprio nulla. Poi Treviso, Fano ed Empoli: il giro d’Italia delle panchine è la gavetta del Guidolin prima-maniera, del seguace iconoclasta di Valcareggi e Bagnoli. A Ravenna, nel ’92, fa il botto centrando la promozione in Serie B. “A” come Atalanta, allora, la prima affacciata sull’olimpo del calcio italiano. A Bergamo non lo capiscono e lo fischiano: via, esonerato.


    Ma Guidolin è uno scalatore e gli scalatori, si sa, devono salire con il loro passo, se non vogliono scoppiare. A dargli un’opportunità è il Vicenza. Fiducia ripagata, prima con la conquista della Serie A, poi una Coppa Italia nel 1996/97. A poche ore dalla gara decisiva col Napoli disse ai suoi: “Stasera del gioco non me ne frega niente: voglio vincere, soltanto vincere”. Ne fecero tre. Pedala Francesco, pedala. L’anno seguente guidò il gruppone biancorosso alla semifinale di Coppa delle Coppe con il Chelsea, ultimo ricordo, e indelebile, nella testa dei vicentini dopo quattro anni di gestione guidoliniana .

    Il mercato estivo lo prefigura sulla panchina dell’Inter o della Roma. Va all’Udinese. Ma qualcosa non funziona, i tempi non sono maturi. Così il girovagare di Guidolin riprende da Bologna, scende a Palermo, con cui conquista la A e una qualificazione in Uefa (2004/2005). Non teme la ghigliottina di Zamparini, ma quando torna in Sicilia, dopo una parentesi in Francia, a Monaco, è un susseguirsi di esoneri e subentri. Tanto che alla fine del 2008 le manie taglia-allenatori del presidente rosanero gli entrano “da un orecchio e mi escono dall’altro”. Disse così prima di passare al Parma e restarci fino all’anno scorso, due anni in tutto.

    Del resto Guidolin è un mite, non un timido; è il viandante sul mare di nebbia che non ha paura della solitudine: né in panchina né sulle montagne. Guidolin è uno che ama le sfide in salita, che si chiamino Zoncolan o Champions League. E’ un battagliero. Una volta, a Vicenza, si presentò in mimetica nello spogliatoio. Un’altra ancora con un libro di Marlo Morgan: “E’ la storia di una persona straordinaria. Che credeva di aver capito tutto della vita e, invece, si trova a rimettersi in discussione davanti al nuovo e al diverso. Anche a Udine ho cominciato a comunicare così“. Era il 1998. Quella volta non andò bene. Oggi è l’Udinese parte seconda, il ritorno: il riscatto. Una squadra che macina punti e chilometri in classifica, ecco. Perché i bianconeri non corrono: pedalano. Troppo presto per le sentenze: fantascudetto, fantaqualificazione in Champions o un gigantesco pugno di mosche? Presto per dire se il Milan cederà il passo, l’Inter crollerà e il Napoli pure. Intanto l’Udinese è lì, vede la vetta. E Guidolin è pronto a tirare la volata.


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