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  • Giuseppe Rossi:| 'Voglio vincere qualcosa'

    Giuseppe Rossi:| 'Voglio vincere qualcosa'

    Quando finalmente riescono a estrarlo dal giacimento di esercizi e manipolazioni, dopo essere apparso in lontananza sotto forma di lampi, palleggi, corse, tiri, stop e varie diavolerie gravitazionali, Pepito sbuca in jeans e felpa viola. Solo un’ora e mezzo di attesa, amico, e vestito così potresti essere il gemello umano del mago visto da lontano, abracadabra, una carezza con il piede sinistro e la palla si trasforma in un serpente che schianta i portieri. Pozioni calcistiche esclusive, anche in allenamento è stato un piacere sbirciarle.
    E comunque per un calciatore il tempo deve avere un’altra dimensione dopo un anno e mezzo senza calcio. Tutto è concentrato sul rientro, sui segnali del corpo, sulle gioie, le paure, i minuscoli progressi, sul lungo taglio che attraversa il ginocchio destro, perché magari viene anche voglia di parlargli, capire perché il male ha scelto proprio te. Cicatrici che restano in testa, più che sulla pelle. Giuseppe Rossi è un ragazzo trasversale e lontano dagli standard (il doppio passaporto, le tre lingue, le operazioni multiple in paesi diversi, i gol segnati all’esordio nei tre maggiori campionati europei) e racconta a «La Nazione» le sue speranze di campione in stallo.

    Fa effetto vederlo in versione quieta: un fenomeno che è stato a un passo da Inter, Milan, Juve, Chelsea, Tottenham, Bayern e ora sarebbe nel Barcellona accanto a Messi se il ginocchio — ottobre 2011 — non avesse improvvisamente deciso di cambiargli la carriera. E ora riparte da Firenze, una scommessa da dieci milioni.Pepito affila gli occhi e prova a sorridere.
    «Sono felice, mi hanno appena dato una bella notizia».
    Indoviniamo: potrà esordire a fine aprile.
    «Veramente questo ancora non lo so. Ma potrò giocare a calcio-tennis».
    Poteva andare anche meglio.
    «Per me è già abbastanza, vivo pensando a un traguardo dopo l’altro, ho obiettivi giornalieri. E comunque a calcio-tennis sono bravissimo, almeno tornerò a vincere qualcosa… Solo uno è riuscito a battermi».
    Chi è il fenomeno?
    «Mati Fernandez. Anche se alla distanza poi non ce la faceva».
    Violachannel ha mostrato i suoi palleggi: un video vagamente maradoniano.
    «Non l’ho ancora visto, ma lo farò volentieri. Quando ho la palla fra i piedi mi sento… libero, non so se riesco a farlo capire, ma per me è una sensazione unica».
    Davvero non pensa alla data del suo ritorno?
    «Giuro. Non gioco da un anno e mezzo, voglio che tutto sia a posto nei minimi particolari. I medici mi dicono che il ginocchio è saldo e io mi sento bene, mi sono allenato tantissimo e ora stiamo integrando i parametri dei fisioterapisti americani con quelli dello staff viola. Tutto qui, a parte la buona notizia del calcio tennis».
    E il morale com’è?
    «Sono un ragazzo realista, in campo e fuori. Per questo non mi illudo, né faccio salti in avanti con la fantasia. Tengo le speranze a freno, ho imparato a confrontarmi con il lavoro quotidiano e a volte guardo la cicatrice sul ginocchio per ricordarmelo. Quasi gli parlo».
    E cosa vi dite?
    «Nell’aprile di un anno fa mi stavo allenando per rientrare dopo la prima operazione al ginocchio. Andava tutto bene, erano passati sei mesi dall’infortunio. In allenamento mi rifeci male nello stesso punto e mentre mi stavano portando all’ospedale cominciai a piangere, senza freni. Non volevo rivivere quello che pensavo di essermi lasciato alle spalle».
    Ha avuto altri momenti di crisi?
    «Quando uno si infortuna così gravemente le cose cambiano, le prospettive diventano immediatamente altre… Tante volte mi sono chiesto perché è successo proprio a me, non dico la prima volta, ma soprattutto la seconda. Ma ho capito che farsi queste domande è un gioco un po’ pericoloso, e sono passato oltre. Per riprendere serenità ho deciso di tornare a casa, a New York, dove ho ritrovato la mia famiglia. E’ stata la scelta migliore, mi ha dato una grande serenità».
    Poteva essere al Barcellona, ora riparte dalla Fiorentina.
    «Contento di esserci. Pronto a rinascere per ringraziare chi ha avuto fiducia in me. Mi sento sempre meglio, il fisico risponde, ma so che da ora in poi sarà soprattutto un fatto di testa».
    Sia sincero: è stato a un passo dalle più grandi squadre europee e poi l’infortunio ha bloccato la sua carriera. A 26 anni quant’è la dose di rimpianto che si porta dentro?
    «Sono sincero: siccome sono realista, ho imparato a trovare il lato positivo in ogni cosa, vivo il presente e non mi interessa il passato, sono cose già successe, archiviate, nel mio caso superate. E’ stato uno dei passaggi mentali che mi hanno aiutato a riprendere forza. Ora sono a Firenze, in una grande squadra che sta lottando per entrare in Champions. Sono sicuro che ha ottime possibilità per andarci».
    Con un calcio modello spagnolo.
    «E’ il calcio del futuro, giocato con la palla a terra, gestendo il ritmo e cercando gli spazi giusti. Quello della Fiorentina è unico in Italia, ma credo che dovrebbe diffondersi anche in altri paesi».
    In questo periodo ha visto molte partite in tv?
    «No. Mi arrabbiavo troppo a veder giocare gli altri, soprattutto le gare di Champions. Ho cercato di seguire la Fiorentina attraverso Rai International, ma non è stato sempre facile».
    Torniamo al suo nuovo esordio.
    «Quello di calcio- tennis?».
    Già che ci siamo, pensiamo a quello di calcio vero. Come si immagina quel giorno?
    «Penso al sottopassaggio che porta al campo, alle emozioni che arriveranno da fuori e a quelle che mi sentirò dentro. Mi mancano da troppo tempo».
    E’ scaramantico?
    «Beh, prima delle partite qualcosa m’inventavo. Ma se devo essere sincero, quasi non me lo ricordo più, non gioco da un anno e mezzo!».
    Questa non è male.
    «E’ la verità».
    Tratto da una sua vecchia intervista, quando stava per passare al Barcellona: ’Cosa voglio fare? Voglio vincere. Una coppa, un campionato, qualcosa, molto’. 
    «Confermo anche ora. Voglio vincere e per questo ho scelto Firenze».
    E’ venuto qui anche perché l’hanno consigliata Borja e Gonzalo, suoi ex compagni nel Villarreal?
    «Non ci siamo parlati durante la trattativa. Ho voluto decidere da solo, insieme ai miei procuratori».
    E cosa l’ha convinta, esattamente?
    «Pradè mi ha spiegato le idee della proprietà, mi ha assicurato che la voglia è quella di fare una grande squadra e gli acquisti lo stanno dimostrando. Decisi che sarebbe stata la scelta migliore, dopo essermi consultato con la mia famiglia».
    A proposito: ha scelto il numero 49 per un motivo particolare.
    «E’ l’anno di nascita di mio padre, che purtroppo non c’è più. Nelle altre squadre avevo sempre avuto il 22, che era il suo giorno di nascita, ma qui era occupato».
    Sua madre la raggiungerà spesso dagli Usa?
    «Ogni tanto sì. E anche la mia ragazza. Ma a Firenze vivrò da solo e ancora non so dove andrò a stare, io sono un tipo che si adatta facilmente, non ho problemi».
    Qual è la città più bella in cui ha vissuto?
    «Firenze non posso ancora dirlo, sono qui da pochi giorni. Certo che New York è fantastica».
    Comunque meglio la bistecca degli hamburger.
    «Certo, tutta la vita».
    Meglio il centro sportivo della Fiorentina o quello del Manchester United? (occhio alla risposta, c’è Della Valle in giro).
    «Beh, devo dire che questo è davvero un complesso al top. Non riesco a trovare qualcosa che non vada».
    A proposito: ci dica i suoi difetti.
    «Sono attento ai dettagli e voglio sempre essere perfetto. Da un certo punto di vista può anche essere un pregio. Almeno credo».
    Le piace il soprannome Pepito?
    «Me lo dette Bearzot, perché gli ricordavo Paolo Rossi. In Spagna invece mi chiamavano ’El bambino’, non so perché. Comunque sì, Pepito è ok».
    Torniamo al calcio giocato. Qual è il gol più bello che ha segnato?
    «Dovrei pensarci un po’… Il più importante forse è stato quello a Madrid, nella partita di esordio. C’erano novantamila persone, fu una serata particolare».
    Conosce il calendario delle ultime cinque partite della Fiorentina?
    «Dunque… Il Siena…».
    Quella è la terz’ultima.
    «Visto? Non faccio programmi».
    Ci può togliere un dubbio?
    «Volentieri».
    Perché Borja Valero non gioca in Nazionale?
    «Ah… Tutti sanno che lui è un maestro, ha tecnica, senso degli spazi, ha tutto. In effetti nessuno sa perché non giochi in Nazionale, credo che sia stato semplicemente sfortunato, perché ha incrociato una generazione di fenomeni spagnoli a centrocampo. Comunque, era una domanda difficile. Un’altra di riserva?».
    Quando pensa di tornare in campo?
    «A calcio-tennis? Prima possibile».


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