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  • Gosens: 'Il Psg non è squadra, noi sì! Papà? Giocava, poi quando la birra è diventata più importante del match...'

    Gosens: 'Il Psg non è squadra, noi sì! Papà? Giocava, poi quando la birra è diventata più importante del match...'

    Robin Gosens, esterno dell'Atalanta, è uno dei punti di forza dell'Atalanta, pronta ad affrontare il Paris Saint-Germain in Champions League. Oggi il tedesco si racconta a Sportweek: "Materazzi, Passarella e Facchetti? Materazzi è quello che ha preso la testata d Zidane? Allora conosco solo lui. Gli altri hanno segnato più di me? Bello essere il quarto di sempre, però, sinceramente, segnare non è il mio primo obiettivo". 

    SUL RUOLO - "Se sono un difensore? Bella domanda. Il mio ruolo è coprire tutta la fascia sinistra. Nel sistema di Gasperini devo attaccare e difendere. Non sono un esterno alta che pensa solo alla fase offensiva. Quindi, per rispondere, sono un attaccante, ma pure un difensore". 

    SUL PSG - "Abbiamo un doppio vantaggio. Il primo è il ritmo partita: in Italia il campionato è ricominciato e finito, in Francia no. Loro, a parte la finale della Coppa nazionale, non giocano da quattro o cinque mesi. Il secondo è che noi ci muoviamo da squadra: loro hanno tanti top player che possono decidere la partita con un'azione individuale, ma non fanno squadra".

    I TRE LEADER - "Papu, De Roon e Muriel: ride, scherza, fa gruppo, organizza le cene tra compagni". 

    IL SEGRETO - "Il lavoro durante la settimana. Non c'è paragone neanche con quello che facevo in Olanda, dove giocavo: all'Atalanta si suda il triplo. Due o tre volte a settimana, se non ci sono partite di mezzo, facciamo esercizi di forza per le gambe: se non hai fiato nei polmoni non puoi giocare il nostro calcio, che è dispendioso e rischioso allo stesso tempo. Ma non esiste giorno in cui non lavoriamo col pallone. Gasperini ci ripete sempre: "Se non siamo capaci di giocare con la palla, non saremo capaci di fare gol". 

    IL PADRE - "Giocava, ma si è fermato nei dilettanti perché a un certo punto la birra del dopopartita era diventata più importante della partita stessa (ride, ndr)". 

    SOGNO - "Anche io fino a 19 anni giocavo nei dilettanti. Sognavo di fare il poliziotto perché mio nonno era poliziotto e una volta, quando avevo 6 anni, tornò dal lavoro sull'auto della polizia, mi mise il suo berretto in testa, mi fece sedere al posto di guida e azionò la sirena lampeggiante". 

    LA NAZIONALE - "Il mio cuore è diviso a metà. Ho tanti amici olandesi, ho giocato in Olanda. Alla fine, però, sono cresciuto in Germania quindi diciamo che il cinquantuno per cento di me è tedesco". 

    L'ARRIVO ALLA DEA - "Sartori, il direttore sportivo, mi disse che era venuto a vedermi giocare più di venti volte. Mi spiegò che il club considera i campionati di Olanda e Belgio molto interessanti". 

    LO STUDIO - "Psicologia, perché mi interessa la mente umana. Mi interessa capire cosa spinge le persone a un'azione piuttosto che a un'altra. Mi manca un anno prima della tesi. La Psicologia sarà il mio futuro: aprirò uno studio per aiutare soprattutto chi fa sport professionistico. So cosa vuol dire sentire addosso la pressione di dover far bene, convincere l'allenatore, i tifosi, la critica, e dover convivere con tutto questo". 

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