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  • Il Grande Torino fu un modello avanti anni luce: organizzazione e spettacolo

    Il Grande Torino fu un modello avanti anni luce: organizzazione e spettacolo

    • Alessandro Bassi
    Le braccia sono levate in cielo, i giocatori si stanno abbracciando, felici, soddisfatti. Consapevoli. Consapevoli di aver vinto il campionato. Ancora una volta. È il quinto scudetto consecutivo per l'invincibile squadra del Torino, ad essere precisi. Mentre l'arbitro fischia la fine dell'incontro e i 35.000 di San Siro manifestano la loro frustrazione lanciando cuscini in campo, i giocatori del Torino festeggiano perchè sanno che l'ultimo scoglio è superato: ora mancano solo quattro gare, ma il traguardo è ormai raggiunto. Scudetto, ancora. Il quinto consecutivo e chissà quanti ne sarebbero potuti arrivare se non ci fosse stata la tragedia immane della seconda Guerra Mondiale e chissà quanti ne arriveranno ancora, perchè il Torino, quel Torino è imbattibile. Il cielo sopra Milano è cupo, la partita è stata una battaglia, l'Internazionale c'ha provato a vincere, in ogni modo, ma il Torino s'è difeso bene, coltello tra i denti, e ha portato a casa lo 0-0 lasciando i nerazzurri a quattro punti di distacco, quando ormai mancano solo quattro partite. Lo scudetto è granata, ancora. È il 30 aprile 1949 e i giocatori del Grande Torino non lo sanno, non lo possono immaginare no, ma hanno appena terminato l'ultima partita che giocheranno in Italia, perchè il destino è là, pochi giorni più avanti.

    Di quella squadra invincibile si è detto, raccontato e scritto di tutto. Proprio in questi giorni è uscita una bella antologia “Il Grande Torino – Campioni per sempre” (Absolutely Free Editore)  dove viene raccontata l'epopea di quella squadra straordinaria. Il merito di quel miracolo sportivo fu del presidente Ferruccio Novo e dell'allenatore, uno dei primi fuoriclasse in panchina, l'ungherese Erbstein. Il primo grazie alle notevoli disponibilità economiche e ad una capillare ed innovativa – per l'epoca – rete di osservatori sparsi per l'Italia costruì la squadra andando a prelevare i migliori giovani in circolazione; il secondo adottando il “sistema” come credo di gioco, come unica via verso il successo, dove tutti erano attaccanti e difensori. Un sistema di gioco  nel quale era imprescindibile la qualità tecnica individuale, come aveva dimostrato l'Arsenal di Chapman. Erbstein riuscì a far diventare il Torino “Grande” plasmando quel sistema di gioco con straordinari interpreti quali erano Maroso, Loik, Mazzola, trasformando una squadra di calcio in una squadra favolosa, leggendaria. Invincibile. E richiesta, ovunque. Era un modello di società calcistica moderna, vincente e amata. Novo lo intuì presto e ne fece una squadra spettacolo, da esportare in partite-esibizione.

    Il destino, dicevamo, prende a tessere la sua tragica tela agli inizi del 1949 quando in occasione di Italia-Portogallo a Genova il portoghese Ferreira chiede a Mazzola di portare tutto il Torino a Lisbona alla sua partita di addio. L'italiano è possibilista, ne parlerà con il presidente. È proprio Novo a non essere convinto: il campionato non è come i precedenti saldamente nelle mani dei granata, occorre rifletterci bene. Passa ancora del tempo, il 27 marzo l'Italia gioca a Madrid contro la Spagna, Ferreira è presente come spettatore e avvicina ancora Mazzola. Insiste: vuole il Grande Torino alla sua partita d'addio al calcio. Vuole chiudere in bellezza la sua straordinaria carriera. Vuole i migliori. Mazzola torna alla carica con il suo presidente, che nel frattempo – oltre ad essere vice presidente federale è diventato anche commissario tecnico della Nazionale assieme a Copernico – direttore tecnico del Torino – e a Ermanno Aebi, grande fuoriclasse dell'Internazionale degli anni'20. Non è convinto Novo, ma alla fine cede alla richiesta mettendo, quale unico vincolo, che la squadra non perda terreno nei confronti dell'Internazionale e che a Milano non esca sconfitta dallo scontro diretto. 

    Accettato. Mazzola e compagni comunicano la notizia a Ferreira. È fatta: il 3 maggio tutto il Torino sarà a Lisbona alla partita di addio al calcio di Ferreira. Da qui tutti sanno ciò che capitò. Il mese di marzo del 1949 fu un mese decisivo per il fato, con un incrocio di destini da romanzo. È una storia parallela, della quale ancora si sa pochissimo perchè seppellita sotto le lacrime della tragedia e rimasta nascosta sino a pochi giorni fa, quando Mario Fadda per SardegnaSport.com ha iniziato a scavare. Un paio di settimane prima dell'incontro di Madrid un commerciante sardo, Giuseppe Deiana, amico di molti giocatori del Torino, tra i quali Mazzola, aveva invitato i granata a Cagliari, per una partita esibizione. La testata Sardegna Sport del 15 marzo 1949 riportava la notizia secondo cui il Torino avrebbe disputato l'amichevole contro il Cagliari il 4 maggio: all'accordo mancavano solo i dettagli. Poi, come abbiamo raccontato, quasi tutto il Torino andò con la Nazionale a giocare a Madrid e lì Mazzola si accordò per giocare a Lisbona il 3 maggio e dell'amichevole a Cagliari non se ne fece più nulla.  
    In un universo parallelo chissà, forse quella partita a Cagliari il 4 maggio si è giocata davvero, ma nella nostra realtà il 4 maggio l'aereo che riportava a casa il Grande Torino si andava a schiantare contro Superga, gettando nello sconforto una Nazione intera.
     
    Con quella tragedia finiva un'altra epoca del nostro calcio e il Torino avrebbe dovuto attendere quasi trentanni prima di tornare a vincere lo scudetto.

    (Alessandro Bassi è anche su http://storiedifootballperduto.blogspot.it/)

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