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  • I calciatori che dicono no al Napoli non sanno cosa si perdono!

    I calciatori che dicono no al Napoli non sanno cosa si perdono!

    • Marco Bernardini
    Non amo particolarmente il calcio-mercato. Perlomeno non quello che, virtualmente, tiene aperte le bancarelle dodici mesi all’anno. Mi ricorda troppo da vicino un periodo, per fortuna breve ma egualmente mortificante, vissuto “contronatura” dal mio “Tuttosport” il quale in prima pagina e a nove colonne ogni benedetto (o maledetto) giorno “faceva comprare” alla Juventus un nuovo giocatore con tanto di pubblicazione “esclusiva” di nome e quotazione in denaro. Una presa per i fondelli giocata a spese dei lettori. Inaccettabile, naturalmente, ma imprescindibile per “divina volontà” direttoriale. Tutto passa, per fortuna. Ora, di tanto intanto, un’occhiata a quelli che sono i movimenti nel “suk” dei piedi più o meno buoni mi pace darla. Anche perché, a differenza di quel passato demenziale, la mia collaborazione professionale non viene messa a rischio da giovani e bravi colleghi di un sito che prima di “spararla” conta almeno fino a dieci.

    Negli ultimi  giorni mi è capitato di dover leggere dichiarazioni rilasciate da alcuni protagonisti dello show perlomeno bizzarre. L’olandese Klaassen, il nostro Lapadula, il croato Vrsaljko, il polacco Zielinski. Tutti e quattro, come si dice, nel mirino del Napoli e ciascuno di loro pronto a rifiutare l’offerta del club partenopeo perché preferirebbero migrare altrove o, perlomeno, rimanere dove sono adesso. Probabilmente nessuno di questi professionisti del pallone si rende conto realmente di che cosa dic e, soprattutto, non è esattamente al corrente di che cosa perderebbe in caso di reiterato “niet”. Rammento un solo caso, nella storia del calcio contemporaneo, di un campione che rifiutò il trasferimento a Napoli per ragioni, diciamo così, ambientali o se volete di avversa empatia con il territorio. Era Paolo Rossi, cioè il già Pablito, il quale oggi ammette di aver commesso un grossolano errore.

    Mi piace citare la battuta di un bel film, “Benvenuti al Sud”, con la quale il comico “postino”Siani si rivolge al collega “capoufficio” Bisio: “Il destino vuole che chi scende dal Nord per venire a lavorare qui da noi debba piangere due volte. La prima il giorno che arriva. La seconda il giorno che è costretto ad andarsene”. Una vecchia frase, molto metaforica e assolutamente pertinente, imprestata al cinema dall’antica saggezza popolare. Speculare alla realtà e alla verità. Napoli è sicuramente una città “a parte” rispetto alle grandi metropoli del nord. Il trionfo di tutto ciò che può venir considerato estremo. In senso positivo e in senso negativo. Ebbene una certa letteratura troppo disinvolta e superficiale (talvolta in modo strumentalmente leghista) ama soffermarsi e calcare la mano su quelli che sono gli aspetti meno edificanti di una città certamente “difficile” ma altrettanto sicuramente non più “complessa” di tante altre del Nord. L’oleografia di Napoli tutta “pizza, mandolino e camorra” non solo è stucchevole o retrodatata, ma soprattutto è falsa. 

    Napoli non è un presepe e neppure una cartolina per turisti giapponesi e americani. Napoli non è un luogo da osservare dall’alto di Posillipo e la sua preziosa “costa” da Amafi a Positano non è una canzone di Caruso cantata al mare davanti a Sorrento. Napoli è i colori del mondo e l’umanità di un popolo che ti ama e che ti fotte esattamente come tutti quelli del pianeta terra con la differenza che lo fa senza ipocrisie. Napoli è il coltello dello scugnizzo di Scampia educato (maleducato) dalla prepotenza camorrista, ma è anche il sorriso e la disponibilità della brava gente disposta a farsi in quattro per darti una mano se ti vede in difficoltà. Napoli è la miseria colma di dignità ed è la nobiltà d’animo mantenuta intatta da chi un giorno ebbe tanto prima che gli venisse portato via tutto. Napoli, in una parola, è vita vera.

    Il calcio le viaggia al fianco
    . Nuovamente fiero, come ai tempi del comandante Lauro senza però quelle connotazione vagamente dittatoriali che puzzavano di carità dispensata al popolo e non di un regalo dovuto alla gente. Nuovamente competitivo grazie ad un presidente, Aurelio De Laurentiis, il quale ha trovato in una società di pallone la formula di catarsi per trasformare in sana realtà le sue fiabesche finzioni cinematografiche. Una squadra che, guidata dal pragmatico toscano Sarri, sarà insieme con la Juventus l’orgoglio del nostro Paese in giro per l’Europa. Negarsi al suo richiamo, dando retta agli stereotipi di ignoranti storici e cronici, sarebbe una follia. Professionale e non.

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