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  • I fuoriclasse Wilkes e Sneijder, il rimpianto Bergkamp: con Dumfries l'Inter si veste ancora di arancione

    I fuoriclasse Wilkes e Sneijder, il rimpianto Bergkamp: con Dumfries l'Inter si veste ancora di arancione

    • Furio Zara
      Furio Zara
    L’olandese che ha lasciato il segno più profondo nella storia dell'Inter? In realtà sono due. Faas Wilkes e Wesley Sneijder, due campioni, due fuori categoria che con i loro colpi hanno segnato due epoche diverse. Il fuoriclasse più fuoriclasse di tutti capitato in un momento storico sbagliato? Sicuramente Dennis Bergkamp, che si portò appresso - era compreso nel prezzo - il fedele Wim Jonk. Il più matto della compagnia? Andy van der Meyde, che teneva uno zoo in casa ed era dedito a molti vizi, non provate nemmeno a pensare a quali, praticamente tutti. Il più affidabile? Stefan de Vrij, anche se - quando si parla di giocatori in attività - il giudizio resta inevitabilmente sempre sospeso.

    L’apparizione più carica di promesse non mantenute? Probabilmente quella di Luc Castaignos, su cui in tanti avrebbero scommesso e che invece si rivelò poco più che mediocre. E poi ci sono Aron Winter, Clarence Seedorf ed Edgar Davids. Winter giocò dignitosamente tre anni (1996-99), vinse una Coppa Uefa e fece la sua parte con grande professionalità, ma le sue stagioni migliori le aveva vissute prima, alla Lazio. Clarence Seedorf arrivò dal Real Madrid nel novembre del 1999, rimase due campionati e mezzo, segnò quel gol strepitoso al 91° alla Juventus (doppietta quel giorno) provocando un boato che a San Siro si è sentito poche altre volte ma fu quando andò al Milan che diede sfoggio di tutta la sua classe. E di Edgar Davis che dire? Ha giocato solo 14 partite nella stagione 2004-05, aveva già 31 anni, era sfibrato dai sette anni alla Juve e dal passaggio a vuoto al Barcellona, a Milano rimase giusto il tempo di prendere una rincorsa e volare in Inghilterra, al Tottenham.

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    E dunque: siamo qui a parlare di olandesi all'Inter perché Denzel Dumfries sarà l’11° «oranje» a vestire la maglia nerazzurra. Non sono stati tanti, in effetti. Servaas detto Faas Wilkes era figlio di un ricco imprenditore di Rotterdam, in Olanda - pensate - era stato l'idolo di Johan Cruijff ragazzino, il dribbling era il suo pezzo forte, negli anni in cui giocò a Milano - dal 1949 al 1952 - non vinse nulla ma deliziò il popolo interista. Lo chiamavano il «Tulipano volante» e rimase celebre quando - in un derby del novembre 1949 - trascinò l’Inter ad una storica vittoria in rimonta (6-5) contro il Milan. Quel giorno Wilkes giocò in stato di grazia.

    Il nome di Wesley Sneijder è indissolubilmente legato all’Inter del Triplete. Di quella squadra Wes era l’equilibratore, l'uomo-chiave, il braccio armato di Mourinho. Arrivò nel 2009, appoggiò le valigie in albergo e subito scese in campo in un derby dai contorni da favola: 4-0 per i nerazzurri, Sneijder migliore in campo. L’Inter aveva trovato il suo 10. Wes è a tutt’oggi anche l’olandese che ha vinto più trofei con l’Inter: uno scudetto, due Coppe Italia, la Champions, la Supercoppa italiana e la Coppa del mondo per club. Tra il 2009 e il 2010 - compreso il Mondiale sudafricano - Sneijder fu davvero uno dei tre-quattro migliori calciatori al mondo (non per nulla sfiorò il Pallone d’Oro).

    Raccontare di Dennis Bergkamp significa tornare agli anni ’90. Arrivò nel 1993, se ne andò due anni dopo. 52 presenze in campionato, 11 gol. Non era più quel favoloso fenicottero che aveva strabiliato negli anni giovanili dell'Ajax e non era ancora quello straordinario fuoriclasse divenuto una leggenda con la maglia dell'Arsenal. Era raffinatissimo, ma non trovò mai il feeling con Osvaldo Bagnoli. L'Inter di Pellegrini lo comprò per 18 miliardi di lire e nel prezzo era compreso il suo scudiero, l’onesto Wim Jonk. Insieme i due olandesi alzarono al cielo la Coppa Uefa 1993-94. Nell'estate del 1995 Bergkamp fu venduto ai Gunners e l’Inter riuscì pure a ricavarci qualcosa: 19 miliardi e 213 milioni, un miliardo e spiccioli in più di quanto era costato.
    Andiamo avanti: la carriera di Luc Castaignos si è risolta al pronti-via, quando giovanissimo - a sedici anni aveva già firmato il suo primo contratto da professionista con il Feyenoord - giocò per il club di Rotterdam e si distinse talmente tanto che non pochi lo paragonarono a Thierry Henry, per le movenze e per il senso del gol. Capitò all'Inter a 19 anni, in una stagione balorda - quella del dopo Triplete - con i tre allenatori, Gasperini, Ranieri e Stramaccioni, a darsi il cambio e con una squadra arrivata a fine ciclo e divisa nello spogliatoio. Il ragazzo giocò sei partite, segnò un gol al Siena, si rese protagonista di un deplorevole gesto quando sputò all’avversario che lo marcava, il bolognese Raggi e alla fine tornò in patria, ceduto al Twente. A leggere oggi il suo percorso professionale non si può certo dire che Castaignos abbia avuto una carriera all'altezza delle aspettative.

    E infine, due parole sul più matto ma più simpatico di tutti, l'Arciere - era cresciuto nell'Ajax - Andy Van der Meyde, interista dal 2003 al 2005, un solo gol in Serie A e una sola partita degna di questo nome, contro l'Arsenal in Champions League. Fumo, alcol, notti brave, depressione: VDM non si è mai fatto mancare niente. Però - a sentire i compagni di allora - era davvero uno spasso, uno capace di farti ridere anche solo alzando il sopracciglio.

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