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  • Il calcio italiano è devastato dall'egoismo dei suoi padroni

    Il calcio italiano è devastato dall'egoismo dei suoi padroni

    • Marco Bernardini
      Marco Bernardini
    E’ nei momenti di emergenza e di crisi che l’abilità e la serietà di coloro i quali governano nel Palazzo vengono messe alla prova per verificarne l’autenticità e il valore. L’epidemia conclamata di coronavirus sta funzionando come cartina tornasole capace di rivelare come e in quale misura le varie istituzioni del nostro Paese siano all’altezza per far fronte adeguatamente ai danni e alle angosce provocate dal killer invisibile che, ormai è pienamente dimostrato, non sta risparmiando nessun angolo del mondo e “democraticamente” colpisce anche celebrità come lo scrittore Sepulveda e sua moglie.

    In Italia, dove la malattia ha trovato una resistenza piuttosto solida da parte di una struttura sanitaria nazionale esemplare per il mondo e in particolare per gli Stati Uniti nei quali soltanto se possiedi la carta di credito vieni curato come su deve, dobbiamo registrare con molta amarezza che un settore produttivo apparentemente di puro svago come il calcio esce mortificato e devastato sul piano dell’immagine. Il premier Conte all’inizio della crisi è stato molto chiaro: “Prima di ogni cosa deve venire la salute dei cittadini e poi tutto il resto”. Di qui le misure restrittive e talvolta draconiane fatalmente imposte dall’emergenza causata da un pericolo dimostrato reale dal numero delle vittime che non sono comunque poche e da quello dei contagiati che continua a crescere.

    Partendo da un decreto ministeriale il quale, purtroppo, lasciava un certo spazio interpretativo a coloro che avrebbero dovuto applicarlo, i padroni del calcio (Federazione, Lega e Presidenti) hanno montato in piedi un casino di proporzioni inaudite e inaccettabili. Cancellazioni, rinvii, discriminazioni, porte chiuse, porte aperte soltanto per qualcuno, litigi, accuse, sospetti, dietrofront e poi di nuovo avanti. Insomma un mercato da suk arabo dove non vi sono regole e neppure rispetto per i fruitori i quali, rispetto al gioco del pallone, sono i tifosi e gli appassionati in generale ovvero i veri padroni del calcio. Ma di questo gli inquilini eccellenti del Palazzo si sono dimenticati. 

    Le ragioni di questo procedere in maniera scellerata vanno ricercate in due parole ben precise: avidità ed egoismo. Ciascuna scelta così come ciascuna controscelta sono state prese, volutamente, non per il bene e per la salute del pubblico edegli stessi giocatori ma per tentare di rendere meno pesante e doloroso il profitto economico se non addirittura per salvaguardarlo completamente. Gli incassi milionari già realizzati e a rischio di restituzione, i proventi pubblicitari e quelli dei diritti televisivi, il timore che giocare in uno stadio vuoto avrebbe potuto condizionare negativamente gli atleti. Il tutto mascherato dal pronunciamento farisaico secondo il quale, per esempio, una Juventus-Inter nel deserto avrebbe dato al mondo un’immagine negativa dell’Italia. Come se occorresse un evento del genere per cancellare i voli delle compagnie americane per l’Italia o a far crollare il numero di turisti previsti nel nostro Bel Paese.

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