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  • Il cuore dell’Italia va in pezzi. L’urlo di dolore di Tacconi e di Vignola

    Il cuore dell’Italia va in pezzi. L’urlo di dolore di Tacconi e di Vignola

    • Marco Bernardini
    Un’altra alba assassina, dopo le già troppe notti di terrore. La scala 6.1 indica che non si è trattato di una delle tante e preventivate scosse di assestamento, ma di una nuova e ancora più consistente crepa nelle falde della crosta terrestre. Quasi che il pianeta abbia deciso di scrollarsi da dosso tutte le brutture e le infamità che quella minima parte dell’umanità colpevole di esosità e di vanità lo costringe a subire. Ma a pagare, poi, non sono scriteriati, indifferenti, affaristi e faccendieri. E’ la gente di tutti i giorni ridotta improvvisamente in stracci nel bel mezzo del cuore d’Italia che va in pezzi brutalizzata dal terremoto.

    Cadono le chiese e Israele ci deve chiedere ufficialmente scusa per aver pronunciato l’aberrante frase “si tratta della punizione divina”. Il Padreterno non c’entra nulla in questo caso. Perché altrimenti, nella sua grande misericordia, avrebbe impedito che oltre ai suoi templi fossero le case, i palazzi e interi paesi abitati da esseri viventi e indifesi a piegarsi su loro stessi  per finire in cumuli di macerie. E’ l’uomo e basta che paga il prezzo alla sua disattenzione e alla propria superficialità rispetto a ciò che dovrebbe invece salvaguardare. Una lezione, l’ennesima, per il futuro. Un domani che, però, sarà più lontano per i nostri fratelli e sorelle dell’Umbria e delle Marche sconvolti da notti di terrore e da un’alba assassina come quella di poche ore fa.

    Tra i tanti che osservano da lontano ci sono anche due e campioni del calcio. Stefano Tacconi e Beniamino Vignola. Due nomi importanti per la storia del pallone italiano oltreché per la Juventus di Trapattoni. Anche loro ebbero, trent’ anni fa, a subire e vivere la tragicità di un sisma devastante. Erano poco più che ragazzi, ma giocavano già in Serie A. Portiere emergente e “cervellino” alla Rivera dell’Avellino del presidente Sibillia. Con loro anche gente come Favero, Di Somma e Juary. Il 23 novembre del 1980, di notte come sempre accade, l’Irpinia tremò violentemente come un ulivo sbattuto per la raccolta dei frutti. Avellino era il centro del terremoto.

    Tacconi è umbro, sicchè ancora più sconvolto da ciò che sta accadendo alla sua terra. Di quella notte da tregenda porta dentro l’anima ricordi incancellabili. La fuga, appena in tempo, dalla palazzina che sarebbe crollata di lì a poco, trascinando con sé la moglie Paola la quale per il trauma subito sarebbe rimasta muta per sei mesi e che da quel momento venne privata del prezioso bene di poter avere figli. Probabilmente anche la morte prematura della giovane donna (Stefano oggi è marito felice di Laura e padre di una tribù composta da sei ragazzi) è frutto di quell’evento apocalittico. Oggi Tacconi si sente nuovamente proiettato dentro quel incubo: “Avellino da quel giorno mi rimase stampata nel cuore. Come la mia Umbria devastata. Salviamo la mia gente, adesso!”.

    Stessa empatia provata da Beniamino Vignola che, all’epoca, aveva diciotto anni. “Fu la mia Amatrice. Mi trovavo a casa, al quarto piano di un palazzo di sei e stavo guardando in televisione la partita dell’Inter. Ad un tratto le pareti dell’alloggio sembrarono ondulare come in un film dell’orrore mentre ogni cosa cadeva terra e la luce scompariva. Tutto questo insieme ad un boato terrificante. Pareva che fossero spalancate le porte dell’inferno per inghiottire tutto e tutti. Non so come, mi ritrovai in strada senza manco accorgermi di aver percorso tutti i piani del palazzo. Leggendo, ora, ciò che sta accadendo in Umbria e nella Marche mi vengono i brividi e mi scappa da piangere pensando a tutta quella povera gente. Soprattutto i bambini che per tutta la vita avranno nei loro sogni i fantasmi del terremoto”.

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