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Il default della Serie A

Il default della Serie A

Siamo fuori dal podio, ma tutti fanno finta di nulla.
Mi riferisco al calcio italiano e alle ultime uscite, in ordine di tempo, di Sanchez (Barcellona) e di Pastore (Paris SG). Leggo sui quotidiani di oggi pezzi accorati, apocalittici, quando sarebbe bastato guardare due numeri in questi dieci anni per accorgersi che saremmo arrivati qui.

I campioni che diventato tali da noi, se ne vanno. Gli altri non arrivano più. Istruttivo il caso di Aguero, che ai fumosi progetti juventini ha preferito la solidità delle petrosterline del City. Nemmeno Giuseppe Rossi è più abbordabile, per cui ci si consola con Vucinic.

Eppure leggo e sento ogni tanto qualche opinionista burlone che ancora cerca di spacciare una centralità del calcio italiano. “E certo? Vuoi che preferisca la Germania all’Italia?”. Sì, eccome. Perché quello è un calcio in espansione, che non a caso ci ha buttati giù dal podio del ranking Uefa, mentre noi abbiamo mille malattie. Gli stadi vuoti, una classe dirigente ridicola che riesce a perdere due volte di seguito la candidatura a un Europeo (record biblico), presidente che danno delle merde agli altri e poi salgono su un motorino di passaggio, procuratori che umiliano il sistema, violenza, un mercato delle sponsorizzazioni ridicolo.

Però, ripeto, si dà ancora per presunta una superiorità del calcio italiano. Accennavo nell’ultimo post alla chiacchierata di sabato scorso con Allegri, e pure lui rivendicava quel giorno un prestigio superiore della Serie A. Ma dove? Ma quando? ahimè, la Serie A fattura oggi la metà della Premier League, che solo dieci anni fa era al nostro livello. Barcellona e Real hanno il doppio delle entrate di Inter o Juve. La Bundesliga ha stadi che noi, nel migliore dei casi, avremo tra venti o trent’anni, in cui andranno forse a sedersi i nostri nipoti. Ora bisogna solo temere l’arrivo del Portogallo, della Francia e della Russia.

Avanti di questo passo, e mi scuso per l’amarezza del post, che bilancia l’ottimismo insulso di altri osservatori, saremo il settimo od ottavo campionato entro un decennio. Vabbè. Spero di sbagliarmi. E mi auguro che il calcio faccia eccezione rispetto al Paese. Non è mai successo, ma illudiamoci che sia così.

L’Italia è sul Titanic. L’ha detto Tremonti, ma poteva dirlo anche Abete.


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