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  • Il Marchese del Grillo è uno solo!

    Il Marchese del Grillo è uno solo!

    • Marco Bernardini
    Una sola volta, nel corso di tutta la sua vita, al Marchese del Grillo accadde di non poter replicare a chi gli stava di fronte. Fu quando bussò alla porta della sua camera da letto la Vecchia Signora per avvertirlo: “Marchese è ora, andiamo”. Contrariamente al suo solito il nobile papalino obbedì senza fiatare.

    Domani, il 24 febbraio di tredici anni fa, moriva Alberto Sordi. Un’icona insostituibile per l’arte dello spettacolo internazionale al pari di altri tre personaggi di identica valenza professionale come Vittorio Gassman, Ugo Tognazzi e Nino Manfredi. Non a caso erano conosciuti e amati come i “quattro moschettieri” del nostro cinema. Ciascuno di loro “specializzato” e “diverso” dagli altri eppure tutti insieme degni di indossare la maglia “numero 10” simbolo di genialità e talento. Calcisticamente sovrapponibili alle figurine di Rivera, Baggio, Del Piero e Totti. Un altro poker di assi.

    All’interno del bellissimo e monumentale cimitero del Verano, a Roma, sulla tomba di Albertone si trova una targa sulla quale proprio lui volle che venisse scritta la frase, non cinematografica ma reale, che suggellava l’incontro del quale ho detto all’inizio: “’A Marchè, è ora!”. Un atto di serena e consapevole resa all’inenuttabilità del destino che ci accomuna tutti quanti e che ci “livella” come recita la bella poesia  scritta da quel altro immenso personaggio che fu il principe Antonio De Curtiis detto Totò.

    Sordi, romano de Roma, era anche romanista seppure in maniera sensata al punto che la domenica successiva alla sua scomparsa, i giocatori di Roma e Lazio scesero in campo con il lutto al braccio esattamente come fecero quelli di tutte le squadre professionistiche. Questo per significare l’appartenenza globale di un personaggio davvero trasversale. Fu l’unico regista e attore che ebbe il coraggio di affrontare, come autore, il tema calcistico per trasformarlo in un film. Operazione tentata da alcuni, in passato, ma sempre con risultati assai modesti. Invece, il suo “Il presidente del Borgorosso Football Club” uscito nel 1970 fu un clamoroso successo di critica e per incassi al botteghino. Tant’è che il film e i suoi memorabili personaggi (Benito Fornaciari, il presidente, Josè Buoniservizi il mister, Omar Sivori nei panni di se stesso) sono giustamente nella lista delle opere di culto. La specialità di Sordi era quella di saper mettere a nudo, con garbo ma anche con severità, il tic dell’italiano medio costringendo lo spettatore a ridere (talvolta amaramente) di se stesso anche se, con presunzione, pensava di sghignazzare sulla pelle del vicino di poltrona. Un’eredità artistica che il silo Carlo Verdine è riuscito a raccogliere e a metabolizzare. 
    Un’arte, quella di Sordi così come quella degli altri “tre moschettieri”, talmente bella e di valore che sembrava dover essere eterna. Invece no, come ogni altra umana avventura. E ciascuno di loro, con intelligenza, prese atto del “finale” prima che fosse la”fine” a venirli a cercare un poco patetici sul viale del tramonto. Gassman infilò il tunnel della depressione e non ne uscì. Tognazzi si “suicidò” ingozzandosi di manicaretti da lui preparati, Manfredi da buon ciociaro si ritirò in campagna. Tutti si dedicarono all’istruzione artistica del loro figli con risultati diversi e più o meno buoni. Sordi, per valore aggiunto, ci lasciò un’ulteriore chicca da cineteca. Il film “Nestore, l’ultima corsa, uno struggente spaccato della “terza età” dove un anziano vetturino romano accompagna il suo amico a quattro zampe di una vita verso l’ultimo appuntamento. Una sorta di testamento, per Albertone. Un congedo di assoluta dignità.

    Impossibile, rileggendo con la memoria simili ed epocali avventure vissute dai Grandi, non pensare alla gazzarra mandata in scena da Spalletti e Totti. L’augurio è che il romanista Sordi, l’altro giorno, fosse impegnato diversamente piuttosto che nel dare uno sguardo sotto le nuvole. In caso contrario si sarebbe molto vergognato per il comportamento di entrambi i protagonisti giallorossi. Spalletti al quale, evidentemente, hanno nuociuto gli anni trascorsi a San Pietroburgo dove mi pare che abbia appreso persino troppo come atteggiamento dai nuovi padroni-dittatori post comunisti dell’ex Unione Sovietica. Totti il quale, pur chiedendo legittimamente rispetto, non vuole farsene una ragione e rifiuta cocciutamente di prendere atto che sarebbe meglio anche per lui evitare di rendersi fatalmente patetico percorrendo per intero il viale del tramonto come nel film con Gloria Swanson che impazzì cercando l’eterna giovinezza. Del resto, è bene ricordare che di Marchese del Grillo ce ne sarà sempre uno solo a dire “Mi spiace, ma io sono io e voi non siete un cazzo”. Eppure anche lui, alla fine, dovette tacere.

     

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