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  • Sabatini: il selfie ai tempi di Zoff

    Sabatini: il selfie ai tempi di Zoff

    L’ultimo chiudeva la porta, il più scarso faceva la foto. Andava così, tanti anni fa. Ora non più, perché il mondo dello sport ha inventato un altro sport: la gara a chi per primo si fa la foto e la pubblica sui social. Si chiama “selfie”, traduzione rapida e linguisticamente indolore di “autoscatto”. Dopo aver invaso il web, ha conquistato televisione, giornali e perfino radio: se un personaggio pubblico diffonde il selfie giusto, tutti ne parlano. Da divertimento s’è trasformato in mezzo di comunicazione, questo dice la teoria. Anche se in pratica, sempre sfizio (e un po’ vizio) è rimasto.

    Prima o poi ne resterà contagiato pure Dino Zoff, che in questi giorni sta pubblicizzando l’autobiografia. Un selfie con il libro nuovo, che male c’è: in fondo è semplicemente una foto, no? Sì, tranquillo. Siamo nel 2014, mica nel 1982, quando Zoff era campione del mondo e la sua immagine di capitano azzurro che solleva la coppa diventava, nell’ordine: foto in prima pagina, poster nelle camere, infine francobollo (addirittura). E succedeva dopo un Mondiale che Daniele Massaro, ultimo della rosa azzurra, aveva trascorso a scattare foto da bordo campo. Il ct Bearzot non lo considerava più e lui – mentre gli altri giocavano – s’era ritagliato un passatempo. Altro che primo pensiero al selfie: era il più scarso, che finiva a far le foto. Ma il passato non ritorna. Anzi. Di quella Italia campione del mondo 1982 oggi avremmo Bergomi che immortala in momento in cui taglia i baffoni e lo mette su Twitter, Altobelli che mima un’esultanza postuma per festeggiare il terzo gol in finale e lo condivide su Facebook, Tardelli che rifà l’urlo e diventa un video per Instagram. E così via… Anche Zoff non fallirebbe l’occasione di un selfie con Pertini, il Presidente della Repubblica, sull’aereo di ritorno.

    Eppure Dino Zoff è un ex portiere che conosce come venivano catalogate le parate: facili, difficili e “per i fotografi”. Queste ultime erano quelle plastiche e aeree, su palloni alti e innocui: si chiedevano all’amico fotografo, si mettevano in cornice e pareggiavano un po’ gli scatti dei quali erano mitragliati gli attaccanti. Erano un modo per dire al mondo: ehi, ci sono anch’io, guardate come sono! Era un “io sono” declinato con tutti gli aggettivi: bello, bravo, simpatico, spiritoso, intraprendente, strafottente, ecc. Lo stesso che succede oggi. Basta sostituire “io sono” con “io selfo”. Ma l’ultimo, almeno quello è rimasto, chiuda la porta.

    Sandro Sabatini (giornalista Sky Sport)
     

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