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  • Il 'super Depor' e il glorioso Amburgo: l'incubo retrocessione è la fine di un'era

    Il 'super Depor' e il glorioso Amburgo: l'incubo retrocessione è la fine di un'era

    • Furio Zara
    Nobili decadute a rischio abisso, club storici zavorrati dalla polvere della gloria del passato che devono fare i conti con la realtà, amara e povera di gioie. E la realtà per il Deportivo La Coruña dice: retrocessione già certificata. E la realtà per l’Amburgo dice: retrocessione quasi sicura. Storie diverse, unite dallo stesso gramo destino.

    Il Depor, nonostante l’arrivo dell’ex stella del Milan e dell’Olanda Clarence Seedorf, è retrocesso in Segunda Divisiòn. Non è una novità. E’ la terza retrocessione negli ultimi sette anni, il Depor sta prendendo la specializzazione nell’altalena tra una categoria e l’altra. E dire che questo è il club che nel 2000 vinceva il suo primo titolo. Era il «SuperDepor» di Fran, Djalminha e Mauro Silva, di Songo’o e Makaay; una squadra che all’epoca in Liga si era ritagliata uno spazio significativo stretta nella morsa tra Madrid e Barcellona. Era un Depor che nella Champions 2003-04 eliminò Juventus e Milan, quest’ultima ribaltando con un clamoroso 4-0 il 4-1 dell’andata a San Siro, e venne eliminata solo dal Porto di Mourinho, futuro campione. Vent’anni consecutivi nella massima serie per i galiziani fino alla retrocessione del 2011, l’inizio della fine. Crisi societaria, bilanci in rosso, tetto ingaggi basso, i pochi talenti in uscita: il Depor - che si era avvicinato alle grandi - è tornato ad essere una delle tante squadre che arrancano ogni anno tra una salvezza conquistata con le unghie e una retrocessione da accettare senza drammi, come questa, arrivata dopo la giostra di allenatori in panchina: Pepe Mel, Cristobal Parralo Aguilera e infine Clarence Seedorf.

    Incubo retrocessione per l’Amburgo, e sarebbe la prima volta nella storia di questo glorioso club, il più antico di Germania, l’unico ad aver partecipato a tutte le edizioni della Bundesliga come testimonia l’orologio situato al «Volksparkstadion» che dalla prima edizione della «Bundes» (1963-64) segna minuti, ore, giorni e anni di permanenza nella massima serie tedesca. Era il vanto di tutti, rischia di diventare l’ultima beffa di uno dei più prestigiosi club tedeschi, forte di una bacheca con sei titoli nazionali, gli ultimi all’alba degli anni ’80, il periodo d’oro di una squadra che allora dettava legge anche in Europa (Coppa delle Coppe nel ’77 e Coppa dei Campini nell’83). Il destino ha teso una mano: non tutto è ancora deciso. Restano due giornate, l’Amburgo al momento è penultimo, ma in poche settimane ha ridotto il suo svantaggio dalla zona playout da -8 a -2. L’avversario da agguantare è il Wolfsburg (battuto 3-1 sabato scorso), e parliamo di un altro club in declino. Dieci anni fa, nel 2008-09, il Wolfsburg allenato da Felix Magath (corsi e ricorsi: Magath è l’eroe che nel 1983 regalò la storica Coppa dei Campioni all’Amburgo, segnando nella finale di Atene il gol decisivo contro la Juventus di Platini e Boniek, Tardelli e Rossi) vinse uno storico titolo con Barzagli e Zaccardo e con una straordinaria coppia d’attacco, la più prolifica di sempre nella Bundesliga, quella formata da Dzeko e Grafite. Domani l’Amburgo gioca a Francoforte, contro l’Eintracht; mentre il Wolfsburg è di scena a Lipsia. E sarà questo il turno decisivo perché all’ultima giornata c’è Amburgo-Borussia M’Gladbach, con il Wolfsburg che però ospita il Colonia già retrocesso e avrà - ragionevolmente - vita facile. Ad Amburgo sono comunque fiduciosi. Già nel 2014 e nel 2015 la squadra agguantò all’ultimo i playout ma poi si salvò agli spareggi. Tutto è ancora possibile. Forse. 

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