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  • Inter, a Mancini manca Moratti

    Inter, a Mancini manca Moratti

    • Giampiero Timossi

    Tiri Mancini. C'è un nuovo allenatore nel centro del mirino, uno che divide più del disegno di legge Cirinnà. E' uno che fa cose meravigliose e poi sbaglia e fa cose pessime. Cioè è un essere umano, tutto qui. Gli succedono cose che possono succedere a tutti e che infatti spesso accadono a ciascuno di noi. Ora la domanda delle "cento pistole" è quella lanciata con rude efficacia dall'amico Marco Mazzocchi a Zona11: l'esperienza in Inghilterra, a Manchester, sulla panchina del City, ha cambiato Roberto Mancini? E quindi: può ancora allenare in Italia? 

    C'è la ragionevole certezza che la sfumatura sia un'altra, che Roberto Mancini abbia effettivamente dei problemi ambientali. Non tanto in Italia, quanto nella sua NUOVA esperienza all'Inter. La regola è: mai tornare dove si è già stati e dove si è stati bene. La regola ha una sua validità. Mancini non ha trovato un'altra Italia, un'altra seria A, ma un'altra Inter. L'assenza sistematica del presidente indonesiano Erick Thohir, le sue indecisioni sull'organigramma societario e pure le sue titubanze su quanti e quali investimenti fare per costruire una società e poi una squadra (davvero) competitiva, sono un'assoluta novità per il "Mancio" interista. A Mancini (sostengono con trasporto e lucidità, alcuni amici interisti) andrà sempre riconosciuto il merito di aver cancellato quell'immagine da "isterismi" collettivi, quell'autocommiserazione da "belli e perdenti". Lui no, "si presentava deciso, con la sua bella sciarpa, che in fondo a noi bauscia piace tanto", spiega chi lo ha subito amato e oggi un po' si trova spiazzato.

    Mancini, "metteva allegria, per certi aspetti era anche meglio di Mourinho". Adesso però no, anche quando, in avvio di campionato, l'Inter volava decisamente al di sopra delle più rosee aspettative. Anche in quel momento Mancini non faceva più sorridere, non abbastanza, circondato da un senso di precarietà che non era suo, ma piuttosto societario. Lui cambiava formazione (pure troppo, ma dirlo ora è facile, prima era un coro di approvazione) e solo il fedelissimo Dejan Stankovic sembrava tenere il passo della primavera manciniana. 

    Ora Mancini spera che qualcosa cambi anche nella nuova Inter, è almeno plausibile pensare che l'annunciato arrivo di Giovanni Gardini renda più felice e sereno l'allenatore. Dovrebbe prendere il posto di Marco Fassone, depurato dal numero uno indonesiano. Gardini è direttore generale del Verona, ruolo già ricoperto a Livorno e Treviso, è amico di Mancini, legame nato ai tempi della comune esperienza laziale, uno il campo, l'altro dietro a una scrivania. Vero, Gardini sta per arrivare, ma non è ancora arrivato. Anche da questo, magari, dipenderà il futuro di Mancini all'Inter.

    Futuro piuttosto incerto, perché un accordo con la Nazionale sembra difficile, almeno fino a quando la Federazione sarà gestita dalla coppia Lotito-Tavecchio, il primo mai amato dal tecnico. Molti scenari, una certezza. Mancini ha fatto un gesto di esemplare civiltà denunciando l'omofobia che avvolge anche il mondo del calcio italiano. Ma da quel momento ha sbagliato e ha sbagliato parecchio. Molti lo hanno aiutato a sbagliare, nessuno o quasi lo ha sostenuto. Cosa che avrebbe saputo fare Massimo Moratti, past president di un'Inter che non c'è più. 
     


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