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  • Inter, hai visto il PSG? E' più Bayern che Barcellona. La svolta autunnale e le regole di Luis Enrique

    Inter, hai visto il PSG? E' più Bayern che Barcellona. La svolta autunnale e le regole di Luis Enrique

    • Massimo Callegari
      Massimo Callegari
    Una carrozzeria di lusso con un motore da formula uno e quattro ruote motrici: ecco il PSG, un gioiello di tecnica, potenza ed energia. Una fuoriserie che Luis Enrique ha guidato alla finale contro l’Inter dopo un inizio di Champions da incubo, un punto in quattro gare contro Arsenal, Atletico Madrid (partita a lungo dominata) PSV e Bayern. Poi la fragorosa svolta: sul ciglio del burrone nello scontro diretto contro il City alla penultima giornata, sotto 0-2 al 45’, ecco la straordinaria rimonta guidata da Dembelé, subentrato all’intervallo dopo l’inattesa esclusione iniziale. C’è un sottile filo che lega questa serata a quella dell’Emirates, 1 ottobre 2024, in cui il Paris aveva toccato il fondo, (ab)battuto 2-0 dall’Arsenal, senza Dembelé estromesso per motivi disciplinari. Già, la disciplina. L’intransigenza dell’allenatore asturiano è nota a tutti negli ambienti da cui è passato. In una trasferta a Bergamo con la Roma, il totem De Rossi venne lasciato fuori perché si presentò in ritardo alla riunione tecnica; a Barcellona, Lucho rischiò il posto rinunciando a Messi sul campo della Real Sociedad. Lui è così: riconosce il talento ma sul rispetto delle regole non ammette deroghe, nemmeno ai big. Dimenticabile la scelta di preferire il russo Safonov a Donnarumma nella prima fase di Champions a Monaco di Baviera, memorabile in passato il confronto vis à vis con Mbappé, al quale contestava la scarsa attitudine difensiva. Quella che gli ha invece garantito da gennaio in avanti il fantastico Kvaratskhelia parigino: sterzate formidabili, tiri a giro di napoletana memoria e contropiedi fulminei.

    Non sono però solo il georgiano e il miglior Dembelé della carriera (33 gol e 11 assist da centravanti, “falso” per caratteristiche originali ma verissimo per efficacia) i protagonisti del crescendo rossiniano del PSG, progredito grazie a un centrocampo che abbina la tecnica di Fabian Ruiz, le geometrie di Vitinha (miglior regista della stagione per continuità) e la capacità di recupero palla dell’altro portoghese Joao Neves, aggressivo e fisico nonostante la statura. Rispetto alla prima parte di stagione, ora il pressing avversario viene eluso molto meglio e la forza dei passaggi, rasoiate potenti e precise, marchia a fuoco lo stile di gioco del Paris. Più verticalità, insomma, rispetto al palleggio brasilianeggiante imposto da Verratti negli anni passati, un po’ come la transizione dal calcio appunto palleggiato del Barça guardioliano a quello più diretto dei blaugrana di Luis Enrique, campioni d’Europa 2015. Zaïre-Emery, prodigioso l’anno scorso con primati di precocità, è diventato una seconda scelta di lusso. Percorso parzialmente condiviso con Barcola, in costante concorrenza con Desiré Doué, esterno d’attacco abbagliante, 19 anni, pagato 50 milioni di euro al Rennes l’estate scorsa, potenzialità da super top.

    Inter, hai visto il PSG? E' più Bayern che Barcellona. La svolta autunnale e le regole di Luis Enrique

    Sono state le due partite contro il Liverpool, agli ottavi, a consacrare la candidatura europea del PSG, già molto vicino alla finale un anno fa, quando venne fermato in semifinale dal Borussia Dortmund e da ben cinque pali (!) tra andata e ritorno. Anche di fronte ai Reds, nei primi 90’ in casa, sbatté contro il muro di Alisson, protagonista di una delle più grandi prestazioni di un portiere nella storia della Champions. Nonostante il beffardo 0-1, però, i francesi sono andati a prendersi la qualificazione ai rigori ad Anfield, con una prova di incredibile personalità, senza tremare nel tempio avversario, guidati da un Luis Enrique lucidissimo in ogni dettaglio, compresi i discorsi ai suoi ragazzi prima di supplementari e rigori. Ecco, anche per Gigio Donnarumma quella è stata la serata della consacrazione, soprattutto agli occhi dei suoi tifosi e dei francesi in generale, molto critici per alcuni errori decisivi, come la mancata uscita sul gol di Hummels nella semifinale di ritorno dell’edizione scorsa. Tutto caduto in prescrizione dopo le stratosferiche parate di Anfield, Birmingham, Londra e pure Parigi contro l’Arsenal: una galleria di interventi spaventosi, al limite della sopravvivenza fisica, con il polso di titanio sul sinistro di Odegaard, su cui ha rischiato di rimetterci la spalla.

    Davanti al portiere della nostra Nazionale, il 4-3-3 del Paris è protetto da una difesa di corazzieri. Al centro Marquinhos e il poderoso ecuadoriano Wiliam Pacho, ai lati l’ex nerazzurro Hakimi (che fece a pezzi l’Inter di Conte col Borussia Dortmund) e il portoghese Nuno Mendes: falcata da centometrista, micidiale in progressione ma spesso svagato in fase difensiva. Come contro il Barcellona, su quella fascia asfaltata da Denzel Dumfries, potrebbero decidersi i destini delle due contendenti. L’Inter troverà un avversario fortissimo, che vorrà scrollarsi di dosso la “sindrome Chelsea” proprio all’Allianz Arena, dove i Blues nel 2012 conquistarono la loro prima Champions dopo anni di investimenti della gestione Abramovich. Dopo di lui, la grande attesa toccò allo sceicco Mansour del City e, ora, al megadirettore galattico (cit.) del club parigino dal 2011, Nasser Al Khelaïfi. Dopo le cessioni di Neymar, Messi e Mbappé, oggi il suo PSG per caratteristiche è un po’ più vicino al Bayern che al Barcellona: più solido, più strutturato tatticamente e fisicamente, anche un po’ più esperto dei catalani che hanno fieramente battagliato con l’Inter per 210’ e oltre. E più sereno, perché il titolo di Ligue 1 è già stato conquistato, garantendosi la possibilità di concentrarsi con tre settimane di anticipo sul Santo Graal inseguito da 14 anni. 

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    semper rubentus
    semper rubentus

    Sarà una bella partita,si spera, perché in finale è difficile avere una gran partita,x me è un 50...

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