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  • Juve, Buffon: 'Qualcuno mi parlò male di Conte'

    Juve, Buffon: 'Qualcuno mi parlò male di Conte'

    La Juventus festeggia il suo secondo scudetto consecutivo e Gigi Buffon, il capitano bianconero, forse il migliore portiere di sempre, ricostruisce, da dietro le quinte, una doppia rivincita: umana e professionale, personale e di squadra. Lo fa in un libro (da domani in edicola con il Corriere della Sera a 7,90 e) realizzato con Roberto Perrone. Dai settimi posti agli scudetti, dal grave infortunio del 2010 a un nuovo sogno: la Champions League.
     

    «Ma dopo venti giorni di ritiro ho chiamato Martina: vinciamo lo scudetto». Domani con il «Corriere» in edicola la biografia del portiere di cui anticipiamo la parte finale, quella dei due scudetti.

    Buffon: «Qualcuno mi parlò male di Conte».
    (...) E la mia strada si incrocia di nuovo con quella di Antonio Conte. (...) Quando arriva, lo osservo curioso di capire, di vedere che tipo è. La curiosità è motivata dai giudizi contrastanti su di lui: ne avevo sentito parlare in termini controversi, dall’entusiasmo al rifiuto totale. Gli aggettivi vanno da geniale a integralista, fino a fanatico. (...) Noi veniamo da due settimi posti e siamo pronti a firmare con il sangue per un terzo posto. Dopo 10 giorni di ritiro e allenamenti, dopo aver sentito come il nuovo allenatore parla e trasmette alla squadra le sue idee, chiamo Silvano Martina e gli dico: «Quest’anno arriviamo almeno terzi». Lui è perplesso. «Sono i primi giorni». Ne passano venti, mi sento di nuovo dentro un’energia positiva, ho voglia di sognare. Richiamo Silvano: «Abbiamo un allenatore con cui non arriviamo terzi, ma vinciamo lo scudetto». Se prima aveva pensato che fossi un po’ folle, dopo si sarà detto: questo è andato completamente. E invece comincia questa grande avventura senza sconfitte che si conclude a Trieste. Battiamo il Cagliari, il Milan perde il derby. Siamo campioni d’Italia. Lo scudetto rappresenta la chiusura di un cerchio, del quale avevo bisogno. Un po’ come quando esci e lasci i cassetti mezzo aperti e allora torni indietro perché senti la necessità di chiuderli. Tutto questo ha un sapore particolare. Penso che la vittoria in casa con il Milan, all’andata, sia stato il trampolino di lancio, non tanto per il risultato (2-0) ma per come avviene: schiacciamo i campioni d’Italia dal primo al novantesimo. (...) Il ritorno con il Milan, a San Siro, invece è caratterizzato dalle polemiche per il gol-non gol di Muntari. E io mi prendo la mia bella razione di critiche, perché, come sempre, dico la verità, dico quello che penso. E cioè che in campo non mi sono accorto che la palla abbia superato la linea. È la verità, lo ripeto e non avrei nessun interesse a mentire visto che quel pallone l’ho buttato fuori. Aggiungo, però, che anche se me ne fossi accorto non avrei denunciato la cosa e questo fa scalpore. Vengo subissato da ogni genere di critica, da quelle civili, ancorché non condivisibili, a un fuoco di fila di insulti inaccettabili. (...) Su questa vicenda voglio aggiungere solo una cosa. Un calciatore non deve dare il buon esempio ai bambini, come spesso sento dire. Il buon esempio io lo devo dare ai miei figli, a quelli degli altri non devo nulla. Le responsabilità di educare i figli se la devono prendere i genitori, non dipende da un calciatore o dal primo che passa per strada. Io non posso essere oggetto di dibattito su questo. (...) Ora, mentre buttiamo giù queste parole non si è ancora placata la gioia per il secondo scudetto consecutivo. Quello del 2012 è stato una sorpresa. Questo è completamente diverso. Quello precedente è stato un sapore fortissimo e intenso, questo più calmo e lungo, durevole, perché dalla prima giornata abbiamo dominato e siamo riusciti a gestire il vantaggio accumulato, da squadra esperta, conscia della propria forza. C’è chi dice che sia stato meno bello, ma non sono d’accordo. Non mi scordo i sei anni senza vincerlo, questo ha un sapore diverso, ma non vuol dire che abbia meno sapore. È una gioia meno intensa, ma più duratura, la superiorità di una grande gratificazione. Siamo partiti a luglio con la dolce condanna di dover vincere perché «se non lo fai hai fallito». Non abbiamo fallito. Dopo Nedved, ci ha lasciato anche Del Piero. Sono quelle cose che accadono e ancora adesso ti chiedi se è veramente accaduto, perché sono giocatori che, nell’immaginario dei compagni di squadra e dei tifosi sembrano essere eterni. Del Piero è andato in Australia. Una scelta che io capisco perché ognuno è padrone della propria vita e prende delle strade che gli permettano di essere felice. Non deve rendere conto agli altri. Se penso ai protagonisti dei nostri scudetti, dico Arturo Vidal. Già nel 2011, dopo dieci giorni, ho affermato che Vidal avrebbe trovato posto nella Juve dei campionissimi. È un giocatore e un ragazzo fenomenale (con qualche difettuccio: ogni tanto anche lui commette qualche errore) però si danna l’anima, si fa apprezzare. E poi Andrea Pirlo, che è stato il cardine dei nostri successi, del nostro modulo di gioco, un calciatore straordinario. Non posso tralasciare la difesa, con la maturazione di Bonucci, la forza esplosiva del grande Giorgio e Barzagli. Qualcuno lo chiama l’usato sicuro. Usato poco, sicuro tanto. Dunque eccomi qua, a riguardare questo ultimo pezzo di vita, dentro il rettangolo di gioco ma anche fuori. La mia famiglia è cresciuta: io e Alena ci siamo sposati. Sono contento perché i bimbi stanno crescendo bene e il merito è della loro madre. (...) Alla fine, se una persona e si comporta bene nella vita, veramente le ritorna tutto e sarà premiata. E mi rende felice ripeterlo. Perché è questo che è avvenuto.
     


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