Calciomercato.com

  • Koulibaly: 'Finché non vivi il razzismo, non riesci a capirlo. Non conta il colore, siamo tutti fratelli'

    Koulibaly: 'Finché non vivi il razzismo, non riesci a capirlo. Non conta il colore, siamo tutti fratelli'

    "Siamo tutti fratelli". Così si intitola la lettera scritta da Kalidou Koulibaly al The Players Tribune. Diversi gli aneddoti svelati dal senegalese: dalla telefonata con Rafa Benitez al primo incontro con Aurelio De Laurentiis, senza dimenticare il giorno della nascita di suo figlio e la particolare richiesta fattagli da Maurizio Sarri. In questo stralcio riportiamo la parte in cui Koulibaly si è soffermato sugli episodi di razzismo di cui è stato vittima.

    RAZZISMO -  “A volte la gente durante le interviste mi chiede: “Kouli, che cosa provi quando la gente ti fa ‘buu buu’? Non ti dà fastidio? Che cosa bisogna fare? Finché non lo vivi, non riesci veramente a capirlo. È una cosa talmente brutta ed è difficile parlarne”. La prima volta che ho veramente vissuto il razzismo nel calcio è stato contro la Lazio qualche anno fa. Ogni volta che prendevo palla sentivo i tifosi che facevano dei versi da scimmia. Mi dicevo che forse me lo stavo solo immaginando. Quando è uscita la palla ho chiesto ai miei compagni: "Ma lo fanno solo a me?. La partita è ripresa e mi sono accorto che alcuni tifosi della Lazio facevano ‘buu buu’ ogni volta che toccavo la palla. È impossibile sapere cosa sia meglio fare in quel momento. Ci sono stati dei momenti in cui sarei voluto uscire dal campo per mandare un messaggio, ma poi mi sono detto che era proprio quello che si aspettavano che facessi. Ricordo che mi dicevo "Perché lo fanno? Perché sono nero? Non è normale essere nero in questo mondo?".

    LA GIOVANE MASCOTTE ESEMPIO PER TUTTI - "Stai facendo il gioco che ami come avevi fatto mille volte prima. Ti senti ferito. Ti senti insultato. Arrivi addirittura a un punto dove quasi ti vergogni.  Dopo un po' l'arbitro, il Sig. Irrati, ha fermato il gioco, mi è corso incontro e mi ha detto: "Kalidou, sto con te, non ti preoccupare. Facciamo finire questi ‘buu’.Se non vuoi finire la partita fammi sapere".  Penso che sia stato molto coraggioso, ma gli ho detto che volevo finire la partita. Hanno fatto un annuncio al pubblico e, dopo tre minuti, abbiamo ripreso a giocare. Ma i ‘buu’ non si sono fermati. Dopo il fischio finale camminavo verso il tunnel ed ero arrabbiatissimo, ma poi mi sono ricordato di qualcosa di importante. Prima della partita c’era una giovane mascotte con cui sono entrato in campo mano nella mano, mi aveva chiesto la maglia e gli avevo promesso di dargliela dopo la gara. Quindi mi sono girato e sono andato a cercarlo. L'ho trovato sugli spalti e gli ho dato la mia maglia. E indovinate la prima cosa che mi ha detto? "Chiedo scusa per quello che è successo". Mi ha colpito molto. Questo bambino chiedeva scusa per non so quanti adulti, e la prima cosa a cui pensava era come mi sentivo io. Gli ho detto: "Non fa niente. Ti ringrazio. Ciao". Questo è lo spirito di un bambino. È questo che manca al mondo in questo momento. Ci sono tre cose che non si possono comprare da nessuna parte: l’amicizia, la famiglia e la serenità. Spero che un giorno lo capiranno anche quelli che mi fanno "buu".

    TUTTI FRATELLI - "Sono cresciuto in Francia in una città che si chiama Saint-Dié, dove c'erano tanti immigrati: senegalesi, marocchini, turchi. I miei genitori venivano dal Senegal. In realtà, mio padre è arrivato per primo, faceva il taglialegna. Mia madre racconta spesso della prima volta che siamo tornati in Senegal. Avevo sei anni e un po’ di paura. Era la prima volta che vedevo i miei nonni e i miei cugini ed era uno shock vedere come viveva la gente in altre parti del mondo. Tutti i bambini correvano scalzi e ci ero rimasto male. Mia madre dice che le supplicavo di andare al negozio e comprare delle scarpe per tutti, così potevo giocare a calcio con loro. Ma lei mi disse: "Kalidou, togliti le scarpe. Vai a giocare come loro. Alla fine mi sono tolto le scarpe di corsa e sono andato a giocare a piedi nudi con i miei cugini, ed è qui che inizia la mia storia con il calcio. Quando siamo tornati in Francia giocavo tutti i giorni in un piccolo parco vicino a casa. Il campo era metà erba e metà cemento e spesso dovevamo fermare il gioco per lasciare passare le macchine. C’erano tantissimi immigrati nel quartiere quindi giocavamo Senegal contro Marocco, Turchia-Francia, Turchia-Senegal. Era come il mondiale tutti i giorni. Quando cresci in un ambiente del genere sono tutti tuoi fratelli. Eravamo neri, bianchi, arabi, africani, musulmani, cristiani, sì ma eravamo tutti francesi. Avevamo tutti fame, quindi si andava a mangiare tutti cucina turca, o venivano tutti a casa mia a mangiare piatti senegalesi".

    Altre Notizie