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  • L'ex calciante Lapi: 'Diventato portiere grazie a Costagliola'

    L'ex calciante Lapi: 'Diventato portiere grazie a Costagliola'

    • L.C.

    «Che ti devo dire? Io il professionista non lo potevo proprio fare: non è che mi mancassero i mezzi. Il problema era la testa ... non ce l’avevo!». Gianluca Lapi ci scherza. A 52 anni, con un fisico bestiale e una longevità sportiva senza pari, può guardarsi indietro e sorridere delle sue “vite precedenti”. Ha un doppio nome: Gianluca all’anagrafe, ma lo chiamano “Lorenzo il Magnifico”. Di cose da raccontare, questo gigante di 1 metro e 85 centimetri per 90 chili (tutti di muscoli), ne ha parecchie. Portiere prodigio negli anni 70, passa prima dalla Primavera del Napoli, dove incrocia il mitico Sentimenti IV, e poi dalla Pistoiese; smesse le scarpe da calcio indossa i guantoni da pugile e negli anni ’80 diventa campione italiano dei pesi medi, sfiorando la Nazionale; ma anche i guanti del boxeur sono troppo stretti per la sua indole ribelle e un po’ indolente. La vera vocazione la scopre il 24 giugno 1980, in una gara di calcio storico al giardino di Boboli. Corre a piedi nudi, picchia e segna addirittura una “caccia”. Da quel momento continuerà a fare le stesse tre cose per ben 32 anni. A torso nudo, senza guanti né scarpe; rompendo nasi, ma salvaguardando le regole. Gioca nell’arena polverosa con i Verdi di San Giovanni e col tempo, le cacce realizzate (ben 66) e quella sorta di romanticismo con cui interpreta la battaglia tra calcianti, diviene un’istituzione cittadina, tanto da guadagnarsi l’appellativo di “Lorenzo il Magnifico”. «Gioco a piedi nudi perché per me l’arena di Santa Croce è come una spiaggia dove ci si incontra con gli amici», racconta nel giugno scorso anno, al termine della sua ultima partita. Superato il mezzo secolo di vita, Lapi è tornato al primo amore, il più mansueto ruolo di portiere. Ma fra i pali del Piagge (primatista in 1ª categoria, girone C), continua a fare il fenomeno. A dirla tutta, qualcuno vocifera che la sua impenetrabilità sia figlia della paura che incute agli attaccanti avversari, imberbi e poco più che ventenni: «Diciamo che prima di entrare in area e scontrarsi con me ci pensano due volte – scherza, con la voce roca di chi nella vita ha saputo farsi sentire – in realtà, con questi ragazzi sono molto soft. Faccio loro da chioccia, potrebbero essere figli miei. Quando penso di smettere? Non lo so, gioco finché mi diverto. Come ho fatto col calcio storico, l’ho abbandonato perché è diventato troppo statico, tutto posizione e scontri uno-contro-uno, sembra football americano. Così avrei potuto giocare fino a 65 anni ma è noioso. E poi è venuto meno lo spirito originario: l’idea della battaglia per Firenze. Quello è stato il fuoco che mi ha animato per tre decenni. Anche i rapporti tra i calcianti sono cambiati: un tempo, dopo la gara si fumava una sigaretta e si andava a mangiare insieme. Oggi non ci si parla nemmeno. Ci si picchia e basta». Così, Lapi è tornato fra i pali. «Iniziai a giocare portiere da ragazzino, nelle giovanili della Lanciotto Ballerini, a Campi Bisenzio. Il mio primo maestro fu Nardino Costagliola, ex portiere della Fiorentina. Teneva un corso a Coverciano e mi portava sempre ad esempio. Incuriosito, uno dei suoi allievi venne a vedermi giocare: si trattava di Mariolino Corso che volle portarmi nella Primavera del Napoli. Era il ’76/77 e ogni tanto mi allenavo con la prima squadra: c’erano Chiarugi, Rastelli e Beppe Savoldi, “l’uomo da un miliardo”. Un bell’ambiente, ma non avevo la testa... Sai com’è, ero giovane, bello e “garbavo”: ogni volta che andavo nella zona a mare ero circondato dalle ragazze, troppe tentazioni. Fatto sta che a Napoli rimasi solo mezza stagione, nonostante Ferlaino e Di Marzio fossero contenti di me. Andai alla Pistoiese per un paio d’anni e fui convocato anche con la prima squadra per una partita in B. Ma il calcio non faceva per me». Nella vita di Lapi, che oggi gestisce un bar nella zona delle Piagge, quartiere popolare di Firenze, c’è pure una parentesi da boxeur racconta il quotidiano Il Tirreno: «Ma anche lì mi allenavo poco – racconta – molti incontri li ho vinti per ko alla prima ripresa, ma se per caso l’avversario rimaneva in piedi era un problema: non avevo più fiato...». Oggi continua a giocare per passione. «Certo – dice – mi esercito poco ma sono giustificato: a 52 anni non ci si può mica tuffare più di una volta alla settimana». Gli attaccanti sono avvertiti, meglio tirare alto.

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