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  • La crisi del termovalorizzatore è la carta della disperazione dei 5 Stelle. E Putin prepara la grande festa

    La crisi del termovalorizzatore è la carta della disperazione dei 5 Stelle. E Putin prepara la grande festa

    • Fernando Pernambuco
      Fernando Pernambuco
    Nei libri di storia, quella di ieri passerà come “la crisi dell’inceneritore”, anzi del termovalorizzatore, perché per Conte e quel che resta dei 5 Stelle il termovalorizzatore “non s’ha da fare”. Questo movimento, raggruppamento, partito, ha fino ad oggi fatto parte del governo Draghi prendendo decisioni importanti: ha votato gli aiuti e le armi all’Ucraina, ha votato per la riforma della giustizia, ha sottoscritto il PNRR (i quasi 200 miliardi ottenuti dall’attuale Presidente del Consiglio per ripartire) ma il termovalorizzatore no! Quello è troppo!

    Massimo Cacciari, non certo tenero con l’attuale governo e con il suo Primo Ministro, chiosa: “Draghi forse si è dimesso per avere un chiarimento definitivo. Anche i 5 Stelle hanno già capito l’idiozia di cui sono capaci. O abbiamo un governo europeista o l’Italia va in default”. E, infatti, basta vedere come hanno reagito la borsa italiana (oggi recupera grazie alla porta aperta lasciata da Mattarella) e lo spread. Chi pensa che i giochi si facciano nel proprio orticello - la crisi, appunto per un termovalorizzatore romano - non si rende conto che gioca col fuoco. Ma forse non è proprio così. Sì, c’entrano la frustrazione di vedere ogni giorno erodersi quel patrimonio di voti che aveva fatto dei 5 Stelle il primo partito d’Italia; sì c’è il rammarico per una scissione e anche l’istinto suicida (Massimo Franco sul “Corriere della Sera”) di chi non sa più bene dove andare. 

    La Meloni fa incetta di voti, il PD tiene, la Lega perde poco, mentre tutti i sondaggi danno il Movimento in caduta libera. Ma con l’istinto capace di annusare l’aria che tira, probabilmente i 5 Stelle tentano la carta disperata di pescare tra gli insoddisfatti anti-Ucraina: dai pacifisti ai putiniani convinti, fino agli “antisanzioni” per propri interessi economici. Il termovalorizzatore è una foglia di fico, l’antidraghismo e quindi anche un antieuropeismo e un filoputinismo, no. Non solo esiste un vasto serbatoio in cui pescare, nel caso di nuove elezioni, ma c’è anche il colpo di coda di chi rischia il tutto per tutto con un certo calcolo.

    A Mosca stappano la seconda bottiglia di champagne dopo quella per l’uscita di Boris Johnson.
    Ora brindano a Dom Perignon o Cristal perché l’eventuale uscita di scena di Draghi, per Putin, risulta molto più importante. L’attuale Primo Ministro italiano, infatti, è il capofila di quella strategia tesa a non far dipendere più l’Europa dall’ energia russa. Sua è l’idea di presentarsi uniti, con un tetto ai prezzi, di fronte al Cremlino; suoi gli incentivi per nuovi gassificatori; sua la ricerca (con alcuni contratti già siglati) di altri fornitori di energia. Questa strategia è la vera spina nel fianco di Putin. Molto più radicale delle sanzioni attuali, lascerebbe lo Zar senza clienti e senza soldi: i gasdotti verso oriente hanno bisogno di tempo per essere approntati. In questo momento mettere fuorigioco il principale antagonista di Putin in Europa può far sognare Conte e i 5 Stelle di diventare leader dei filoputiniani del Vecchio Continente e continuare ad esistere.

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