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  • La dura legge del calcio. Stendardo: esame o non esame? Questo è il dilemma

    La dura legge del calcio. Stendardo: esame o non esame? Questo è il dilemma

    In questi  giorni si stanno svolgendo in tutta Italia gli esami per l’abilitazione alla professione di Avvocato. Tra i candidati vi è un calciatore professionista: Guglielmo Stendardo dell’Atalanta.

    Sebbene ci sentiamo di augurare un “in bocca al lupo” a Stendardo e a tutti gli altri candidati, in sé la notizia non sarebbe certo da riportare sul nostro blog, ma la sorte si è messa di mezzo. L’Atalanta ieri, primo giorno delle prove scritte di esame, ha disputato la gara di Tim Cup contro la Roma; Stendardo, seppur convocato, ha deciso di recarsi a Salerno per sostenere l’esame, nonostante non gli fosse stato concesso il permesso di assentarsi ed anzi abbia ricevuto il diniego da parte dell’allenatore Colantuono.

    Vista la condotta dell’atleta sono stati minacciati dalla società provvedimenti disciplinari nei suoi confronti. Ma Stendardo ha violato il proprio dovere contrattuale di obbedienza o ha esercitato un proprio diritto?

    Innanzi tutto va ricordato che il nostro ordinamento tutela il diritto allo studio del lavoratore. La regolamentazione delle modalità di esercizio di tale diritto è demandata alla contrattazione collettiva, attraverso la quale, con il sistema dei permessi retribuiti e non retribuiti, è consentito al lavoratore di assentarsi dal lavoro per “motivi di studio”, trai quali vi è il frequentare corsi di studio, doversi preparare per un esame o il recarsi a sostenere un esame, che abbiano come finalità il conseguimento di un titolo di studio.

    Per quanto riguarda i calciatori di Serie A, l’Accordo Collettivo non contiene  una disciplina dei permessi applicabile ai rapporti di lavoro, lasciando di fatto alle parti la scelta su come meglio regolarsi.

    Ma andare a sostenere un esame di abilitazione all’esercizio di una professione, è manifestazione del diritto allo studio? L’esame per l’abilitazione alla professione forense, in realtà, una volta superato (e adempiuto ai susseguenti oneri), facoltizza il neoavvocato ad esercitare l’attività professionale e non serve a conseguire un titolo di studio o ad accedere ad un corso di studio.

    Si potrebbe quindi ritenere che recandosi a Salerno, Stendardo non abbia esercitato il proprio diritto allo studio, fermo restando che non essendoci una precisa regolamentazione di tale diritto nell’accordo collettivo, il calciatore avrebbe dovuto preventivamente raggiungere un accordo con il club.

    È poi interessante valutare la fattispecie sotto un’altra prospettiva. L’art. 8 dell’accordo collettivo, vieta al calciatore di svolgere altre attività sportive, lavorative o imprenditoriali in vigenza di contratto, salvo preventiva autorizzazione del club. La società laddove ritenesse di negare l’autorizzazione, sarebbe onerata di rispondere entro  45 giorni dando all’atleta una succinta motivazione del proprio rifiuto, trascorso tale lasso di tempo senza riscontro, l’autorizzazione si intenderebbe concessa.

    Ciò detto, Stendardo non ha iniziato a svolgere un’attività lavorativa senza la preventiva autorizzazione del club, in quanto si è recato a sostenere l’esame (per il vero la parte scritta dell’esame che se superata consente di accedere a quella orale): il vero atto abilitante all’esercizio della professione forense è l’iscrizione all’albo degli avvocati, che può aver luogo solo ed esclusivamente dopo aver superato l’esame e aver pronunciato giuramento secondo la formula rituale.

    Si potrebbe quindi ritenere che il calciatore non abbia violato l’art. 8 dell’Accordo Collettivo. Resta il fatto che l’atleta non ha obbedito al datore di lavoro, non partecipando alla trasferta per disputare la gara contro la Roma, come invece avrebbe dovuto fare. 

    Alla luce di questa condotta, la Società potrebbe ritenere, come già paventato dall’allenatore Colantuono, di sanzionare il proprio dipendente attivando la procedure previste dall’art. 11 dell’Accordo Collettivo per le diverse tipologie di sanzioni in esso previste (ammonizione scritta, multa riduzione della retribuzione; esclusione temporanea dagli allenamenti o dalla preparazione precampionato con la prima squadra; risoluzione del contratto). 

    Occorre però tener presente il  principio giuridico di buona fede nell’esecuzione dei contratti che impone, in qualche misura, a ciascun contraente di tener in considerazione anche l’interesse dell’altro.

    Ciò detto, qualsiasi sanzione il club dovesse decidere di adottare - nonostante l’invito del Presidente del CONI Petrucci a soprassedere sul fatto - dovrebbe essere rispettato anche il principio di proporzionalità della sanzione alla condotta eventualmente ritenuta illegittima. Non potrebbe quindi essere trascurato il fatto che il giocatore parrebbe aver avvisato il club (ma non l’allenatore) della propria assenza con un mese di anticipo; che l’esame di abilitazione professionale di che trattasi, può essere sostenuto solamente una volta all’anno; che le probabilità statistiche di superarlo al primo tentativo sono notoriamente poche, data la difficoltà dell’esame stesso.

    Sicché, per entrambi i principi di cui sopra e tenendo conto dell’importanza dell’esame in questione  per la vita professionale dell’atleta una volta ritiratosi dall’attività sportivo-lavorativa,  un’eventuale sanzione disciplinare dovrebbe essere comunque lieve.

    Insomma abbiamo un caso Stendardo prima ancora di avere un “Avvocato Stendardo”.

    Avv. Alessandro Izar

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