Calciomercato.com

  • La ginga di Pelé, l'amplesso del giocoliere

    La ginga di Pelé, l'amplesso del giocoliere

    • Pasquale Guarro
    Ci siamo innamorati del suo Brasile, di quel gioco divenuto iconico, fatto di tocchi di prima, tiri al volo e dribbling da far girare la testa. Ci siamo innamorati di Pelé, come uomo e come simbolo. Ci siamo innamorati del suo calcio, che non era solo calcio. Era riscossa, era talento, era forza, classe e democrazia. E poi era danza, era musica, era ritmo, coordinazione e arte marziale. In cinque lettere, era ginga. Ginga… un termine “cofanetto”, una sola parola che ne racchiude tante altre. Difficile da spiegare, non per Pelé, che invece lo faceva naturalmente, correndo dietro a un pallone, ma trascinandosi tanta vita. Sempre senza accusarne il peso, almeno apparentemente: “Sono di Três Coraçoes, dove sono nato, cresciuto e dove ho giocato a calcio. Tutto questo ha dato a me tre cuori”. Non ne sarebbe bastato uno solo, almeno non uno “normale”, a uno che ha corso quanto ha corso lui. A uno che ha amato quanto ha amato lui. E che a sua volta ne ha ricevuto, di amore. 

    LA GINGA COME FUGA - E allora bisogna tornare alla ginga e a quei mondiali del 1958, in cui Pelé fu protagonista da appena 18enne. Una competizione che sublimò quello stile libero e naïf del gioco brasiliano, che invece qualcuno aveva tentato di annientare per quella sua natura poco accademica e molto selvaggia. La ginga, appunto, che in gergo altro non è che il passo base della capoeira, arte marziale brasiliana che unisce canto, lotta, musica e danza. Era così che si allenavano i deportavi africani in Brasile, mascherando il combattimento dietro passi di danza, al fine di passare inosservati e organizzare piani di fuga. 

    RITORNO ALLE ORIGINI - Cos’è la ginga nel football? Pelé la spiegò così: “È il fattore decisivo per giocare a calcio, un atteggiamento in cui il valore prevale sulla tecnica, il piacere del gesto è dominante”. È un modo diverso di vivere il calcio, un approccio differente che esalta il talento senza trascurare il sacrificio. Un approccio che fino all’avvento di Pelé, qualcuno, quasi riuscendoci, aveva tentato di annientare. I Mondiali del 1954,  furono un fiasco per il Brasile, un nuovo tonfo avrebbe annichilito l’intera nazione e la testa dei calciatori era confusa da concetti che poco avevano a che vedere con la cultura del calcio brasiliano. L’unica salvezza era tornare alle origini, riabbracciare la ginga. Che allo stesso tempo, per i brasiliani, significava riabbracciare le tante diverse culture presenti sul territorio. 

    LA BATTAGLIA DI O REI - Di fatto, Pelé ha portato la ginga in una nuova dimensione, e con essa l’intero Brasile, che grazie al suo campione ha imparato ad accettare le proprie origini come punto di forza e non come complesso di inferiorità. La ginga ha dato nuova dignità, valori e orgoglio in tutto il Brasile, che ha potuto affrancarsi con nuova consapevolezza e slancio. Pelé ha combattuto questa battaglia su un campo di calcio, con il sorriso di un ragazzino e il cuore di uno leone. Anzi tre.

    Altre Notizie