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  • La musulmana Fatima e il basket: almeno stavolta non era discriminazione religiosa

    La musulmana Fatima e il basket: almeno stavolta non era discriminazione religiosa

    • Pippo Russo
      Pippo Russo
    La soluzione è stata annunciata la sera di domenica 17 novembre. La federazione del basket portoghese (FPB) ha trovato un compromesso per l'equipaggiamento da gioco di Fatima Habib, una tredicenne figlia di immigrati pachistani in Portogallo che gioca nella squadra Under 16 del Tavira, partecipante ai campionati regionali dell'Algarve. La ragazza potrà indossare in gara una tuta integrale con copricapo, ciò che le consente di non mostrare nude le braccia e le gambe, in obbedienza alla propria fede musulmana. Ma al tempo stesso non dovrà più vestire le tute e il copricapo di maggiore ingombro, che due settimane fa hanno spinto un arbitro a negarle la possibilità di scendere in campo. Secondo il giudice di gara, abbigliata a quel modo Fatima si poneva fuori dal regolamento del gioco.

    Fatale che, partendo da una questione di mera applicazione delle regole, la vicenda venisse immediatamente trasformata in un sospetto caso di discriminazione religiosa. Ciò che da subito è parsa interpretazione esagerata. L'arbitro che ha negato a Fatima Habib il permesso di giocare si è limitato a applicare il regolamento di una disciplina sportiva, che per definizione è un corpus di norme di portata universale e comprende anche le prescrizioni sull'abbigliamento di gioco. Inoltre, il fatto che nel giro di una settimana sia stata trovata una soluzione di compromesso indica che in nessun momento vi sia stata volontà di discriminare.

    Aggiungiamo che la griffe ben visibile sul copricapo della tuta autorizzata fa scaturire qualche cattivo pensiero. Infine, sarà stato forse un caso di arbitro troppo zelante? Può darsi. Ma quello zelo è comunque servito a dimostrare che lo sport risponde a valori di inclusività, a patto di mantenere dei principi la cui applicazione deve valere per tutti indistintamente. Nel caso di Fatima Habib, lo sforzo di includere è stato condotto a patto di determinare che la ragazzina giochi con un equipaggiamento agonisticamente consono, non d'intralcio per se stessa e le avversarie. Dunque, una decisione rispettosa dell'individuo quanto delle regole e della credibilità di gara.

    Un'ultima annotazione, a proposito del sospetto di discriminazione religiosa che è circolato per qualche giorno. Viviamo tempi di odiose chiusure, in cui molte forme di diversità vengono trasformate nel capro espiatorio delle nostre paure. Ma proprio per questo motivo sarebbe il caso di non esagerare, nell'individuarne dove non ve ne sono. Ché altrimenti si rischia la banalizzazione. E banalizzare le discriminazioni, oggi, sarebbe un errore che proprio non possiamo permetterci.

    @pippoevai

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