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  • La Samp, le donne, l'amicizia: Mancini e Vialli gemelli diversi, di nuovo insieme

    La Samp, le donne, l'amicizia: Mancini e Vialli gemelli diversi, di nuovo insieme

    • Renzo Parodi
    In principio fu il Mancio, al secolo Roberto Mancini, di anni diciotto (quasi). Paolo Mantovani lo prelevò dal Bologna per due miliardi e mezzo di lire (del 1982!), il cartellino di tre calciatori, Galdiolo, Logozzo e Roselli e il prestito di Brondi.  Bruciata in fotofinish la Juventus di Boniperti, convinta di averlo già in pugno, decisive le arti diplomatiche del ds Paolo Borea, in uscita dal Bologna e in procinto di trasferirsi alla Sampdoria. “Tu puoi diventare a Genova quello che Rivera e Mazzola sono stati per Milan e Inter: Una bandiera”, gli dice. Roberto conosce il dottore e si fida. Firma con Mantovani. 

    Alla Sampdoria Mancini detto il Bimbo d’oro – per via di quella astronomica valutazione di mercato nonché per il talento cristallino – non trova ancora il gemello della vita (calcistica), al quale ora si ricongiunge in azzurro, dopo oltre 26 anni.  il coetaneo Gianluca Vialli approderà sotto la lanterna due anni dopo, nel 1984. I suoi compari di squadra di allora sono Trevor Francis, finissimo striker inglese afflitto da mille acciacchi e Il tecnico è l’ispido e salace toscano Renzo Ulivieri che vede Mancini prima punta e lo costringe a giocare da centravanti puro. Inutili le sue accorate lamentale: “Mister. A me piace stare dietro le punte, partire da lontano”. Nisba.

    Ulivieri saluta e arriva Bersellini. E’ il 1986. Il Mancio ha toccato l’azzurro della Nazionale ma si frega da solo – è il 1984 – cade in tentazione durante la tournée negli Usa, scivola via con Tardelli e Gentile dall’hotel e se la spassa nella Grande Mela consumando la notte nella città che non dorme mai. Bearzot scopre la marachella e gliela giura. “Con me in Nazionale hai chiuso”. Manterrà la fatwa. Anche con Bersellini la vita non è facile, Mancini ne apprezza la schiettezza ma non segue il suo calcio. E si irrita quando al nuovo Gemello, l’aitante già scafato Vialli, gli viene preferito Francis, sul viale del tramonto e tormentato da ripetuti acciacchi. Come che sia, la coppia da favola si sta formando. Anche Vialli è farina del facoltoso sacco del presidente Mantovani che intende costruite uno squadrone capace di rivaleggiare con le Grandi storiche. Lo ha prelevato nell’estate dell’84 dalla Cremonese dell’amico Domenico Luzzara, soffiandolo -  vedete un po - ancora alla Juve. Boniperti lo aveva messo sotto tiro ma non era del tutto convinto delle doti di quel ragazzone di ottima famiglia – ultimo di cinque fratelli – che aveva interrotto gli studi a sedici anni, inseguendo il sogno del pallone. Il patron bianconero ci pensa su un giorno di troppo e Mantovani ne approfitta. Contatta Luzzara e chiude l’affare. A Cremona vanno un bel pacco di milioni e l’estroso ma discontinuo Alviero Chiorri, detto il Marziano, idolo dei tifosi sampdoriani. Vialli non lo farà affatto rimpiangere. Anzi.  Fortissimo fisicamente, veloce, implacabile nel chiudere l’azione, Luca diverrà un bomber implacabile e il partner ideale di Mancini che in carriera ha fatto la fortuna di altri attaccanti: da Montella a Chiesa a Gullit, e naturalmente Vialli. Più volte candidato al Pallone d’oro.  

    La coppia Vialli-Mancini sboccia in pieno quando sulla panchina blucerchiata sbarca Vujadin Boskov, antico calciatore della Sampdoria, uomo di mondo, colto (è laureato in storia e geografia) che col Real Madrid ha sfiorato la Coppa dei Campioni. Zio Vuja intuisce immediatamente il potenziale della coppia e si adopera per amalgamarla alla perfezione. In  campo e  fuori. Non è uno sforzo titanico I due si sono piaciuti immediatamente. Riflessivo, a tratti apparentemente scontroso (in realtà è solo timidezza), introverso ma capace di repentine sfuriate d’umore il ragazzo di Jesi. Partito da casa a 14 anni (papà Aldo falegname mamma Marianna infermiera) Roberto è dovuto crescere solo e ci è riuscito fra inciampi ed errori, aggravanti da quel carattere spigoloso e da una franchezza che sconfina nella provocazione. La cura Boskov ne smussa gli angoli più spigolosi ma è il presidente Mantovani a costruire la carriera, presente e futura, dell’ex Bimbo d’oro. Lo considera come il quinto dei suoi figli, quando Roberto esce dal seminato, lo convoca in villa a Sant’Ilario e gli riserva affettuose ma inflessibili lavate di capo. Una per tutte. Un giorno Mancini si lascia convincere da Claudio Bosotin detto Boso, ex capo degli Ultras arruolato da Mantovani come magazziniere, a lanciare un appello per cambiare l’intitolazione dello stadio genovese a Luigi Ferraris, capitano del Genoa caduto durante la Grande Guerra. Apriti cielo! Mantovani va su tutte le furie. E’ figlio di un combattente della Grande Guerra e ha sempre badato a non inasprire la rivalità calcistica cittadina. Convoca Mancini e Bosotin e minaccia sconquassi. Poi dirama un comunicato in cui esprime rammarico e riprovazione per quella bislacca uscita  dei suoi tesserati e annuncia provvedimenti disciplinari. “Semmai si facesse un referendum sul nome dello stadio - conclude il presidente – chiederei di votare in via Roma (sede del Genoa, ndr) per mantenere il nome di Luigi Ferraris”. Mancini assimila le lezioni, si modera, senza negarsi estemporanee alzate di capo.

    Vialli non ha bisogno di lezioni, è un diplomatico nato. Prima di aprire bocca, riflette e sceglie con cura le parole. Parla con parsimonia. Misura gli interlocutori, schiva le insidie delle interviste, il sorriso furbetto stampato perennemente sulle labbra. Insomma, l’opposto dell’impulsivo, catartico Mancini. Il sodalizio professionale perfezionato sul campo si cementa nella vita privata. Prima che Roberto convoli a nozze con Federica i due battono le strade genovesi ed della riviera come lupi in caccia. Vialli ci mette la simpatia, la dialettica, le frasi ad effetto, Roberto il fascino ombroso del bello di poche parole. Le ragazze cadono a grappoli ai piedi dei due giovani apollinei footballers. Nel tempo libero i due gemelli che condividono l’appartamento sul mare di Quinto (levante genovese) si confidano, tracciano programmi, inseguono sogni comuni. Vialli dorme col pigiama blucerchiato e rifiuta le avances di Berlusconi, implorando Mantovani (che aveva ceduto alle offerte di Berlusconi) di trattenerlo a Genova. Accontentato, Mancini respinge l’idea di lasciare la Sampdoria, fosse anche per la Juventus, di cui è tifoso da bambino. Col bel tempo i due gemelli saltano sulle moto d’acqua ormeggiate sotto casa e sfrecciano lungocosta. I tifosi blucerchiati li adorano, quelli genoani ingoiano amaro e qualcuno dei più truci trascende. Volano insulti sanguinosi, i social non esistono ancora ma il veleno scorre ugualmente e lambisce anche la vita sessuale e privata dei due ragazzi.  Mantovani non transige: “Guai a voi se rispondete e guai se lo raccontate ai giornalisti”.

    Nella consolidata amicizia fatalmente capitano momenti di crisi. Un banale litigio sul campo si trasforma in un prolungato e immusonito silenzio. I due per un paio di settimane non si guardano in faccia e non si parlano. Boskov lascia fare per un po’ e infine interviene. L’incidente si chiude con un fraterno abbraccio al cospetto dei compagni di squadra. 
    Così diversi come persone, lo sono anche in campo, Mancini ha una classe cristallina, domina il pallone, lo ammansisce per propinarlo, di preferenza, al compagno in odore di gol: in un Sampdoria – Pisa Roberto potrebbe segnare da due passi ma preferisce servire il pallone a Vialli a digiuno da settimane dopo un brutto infortunio. Rigore di Luca ma anche di Roberto, sigillato da un abbraccio dei gemelli di fronte alla gradinata Sud in festa. Ciò nonostante nei quindici anni di carriera blucerchiata Roberto registrerà 169 gol all’attivo in 558 presenze, miglior cannoniere della Sampdoria all times. Vialli si fermerà sotto (139 gol in 320 gare), ma gli anni di militanza doriana saranno soltanto otto.

    Trascinata da Roberto e Luca la Sampdoria cresce, stagione dopo stagione. Fallisce il primo grande traguardo, perdendo in finale di Coppa delle Coppe col Barcellona a Berna. E’ il 1989. Vialli e Mancini trascinano Pagliuca, Vierchowod, Mannini, & C ad un giuramento di sangue. Sanno che gli Squadroni stanno tentando tutti i gioielli della Sampdoria e chiedono ai compagni di non cedere alle lusinghe. “Si resta tutti alla Sampdoria finché non si vince qualcosa”. I convitati giurano. E vincono. 

    Anche Vialli nel frattempo è approdato all’azzurro, 1986 in Messico nella sfortunata spedizione azzurra che chiude l’era Bearzot. Al ct vittorioso al Mundial spagnolo subentra Azeglio Vicini che nell’under 21 aveva coltivato il talento della coppia d’attacco sampdoriana. Naturalmente la trapianta nella nazionale maggiore. Non saranno solo rose e fiori. Agli europei dell’88 Mancini segna alla Germania e corre sotto la tribuna stampa inveendo contro i giornalisti che l’hanno messo in croce. Vialli pagherà per tutti la beffarda sconfitta in semifinale con l’Argentina al Mondiale italiano del ’90 e l’effimera esplosione di Schillaci. Nel ’90 Mancini, convocato, non vedrà neppure la panchina. Vicini, il suo antico mentore, messo sotto pressione dai giornaloni, lo relegherà sempre in tribuna. Un giornalista romano di fede laziale (vedete gli scherzi del destino) lo irride, ribattezzando Mancini “Ciccio bello”-  La stampa metropolitana li aveva messi da tempo nel mirino: i “Gemelli del non gol” e via sproloquiando sulle dolcezze estenuanti del sole di Liguria, l’indulgenza (figurarsi!) di papà Mantovani, la “macaia” genovese a suo tempo evocata dal maestro Brera come impedimento assoluto a qualunque impresa, le mollezze di un ambiente che non reclamava vittorie e si accontentava di scampoli di bel calcio e di qualche vittoria di prestigio. Balle ciclopiche. Fake news. Peggio: propaganda. La Sampdoria faceva paura e bisognava neutralizzarla. Quel micidiale cocktail di ostracismo e disprezzo le fornisce invece la benzina per il grande balzo in avanti. Nel 90’ con una doppietta di Vialli (la seconda su assist delizioso di Mancini) la Sampdoria batte l’Anderlecht a Goteborg e vince la Coppa delle Coppa. L’anno dopo calpesta la storia e conquista addirittura lo scudetto. Vialli è capocannoniere con 20 gol.  

    Poi arriva Wembley, la madre di tutte le finali. 20 maggio 1992. La Sampdoria affronta il Barcellona di Cruijff. La squadra è turbata, i giornali scrivono da giorni che la Juventus è pronta a prendersi Vialli. Mantovani non smentisce, la trattativa in effetti è avviata, innescata da un’incauta intervista di Luca (nessuno è perfetto) in cui criticava la gestione societaria di Mantovani. Anche Pari è promesso, al Napoli. In campo vanno umori e malumori, eppure il match si trascina ai tempi supplementari. Vialli si era divorata una clamorosa palla gol e aveva lasciato per crampi. Mai successo. Proprio vero: lo spirito muove la materia e lo spirito della Sampdoria, quel pomeriggio nel templio del football, è a pezzi. Un missile di Ronald “Rambo” Koeman consegna la coppa dei campioni al Barcellona. Mancini dà in escandescenze e insulta l’arbitro tedesco, Schmidhuber che ha capovolto il fallo assegnando la punizione fatale al Barcellona. Si beccherà cinque giornate di squalifica europea. Rientrati a Genova, assieme ai trentamila affranti tifosi che l’avevano seguita a Londra, meritandosi gli elogi del capo della polizia per la correttezza mostrata anche nella sconfitta, Mantovani convoca in sede Vialli e gli annuncia. “Vai alla Juventus”. Luca prova e resistere. Il presidente è irremovibile. “Se vuoi bene alla Sampdoria, vai. La salvezza economica della società dipende da te”. Luca china il capo. Mantovani se ne pentirà ma tardi. Ha dato la parola a Boniperti e indietro non si torna. Luca si precipita dal Gemello, lo trova a tavola da Carmine alla Piedigrotta (il santuario del loro onesto peccato di gola) con Cerezo e Pari. “Vado a Torino”, annuncia. Roberto e gli altri due scoppiano in pianto e soffocano le lacrime nei tovaglioli del ristorante. 

    I gemelli si separano. Giocoforza. Resteranno uniti. Per sempre amici, anzi fratelli. Pochi giorni fa Mancini ha confidato: “Ho sempre ammirato Luca per la serietà con la quale faceva le cose” Mancini chiuderà con la Sampdoria non più di Paolo Mantovani, ma del figlio Enrico col quale, auspice il braccio destro del nuovo presidente, non aveva feeling. Ne starà bene la Lazio che, con Eriksson e Mancini, vincerà lo scudetto nel 2000. “Se fosse rimasto in vita Paolo avremmo vinto un altro scudetto e io sarei ancora alla Sampdoria” mi confidò Roberto anni dopo. Mancini e Vialli un giorno di nuovo insieme alla Sampdoria? Mai dire mai.  

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