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  • La solitudine di Mihajlovic, simbolo della nostra forza
La solitudine di Mihajlovic, simbolo della nostra forza

La solitudine di Mihajlovic, simbolo della nostra forza

  • Marco Bernardini
    Marco Bernardini
Un uomo corre sul prato di un campo che la primavera ha colorato verde smeraldo. Nessuno al suo fianco. A tenergli compagnia, inseguendolo, soltanto l’ombra di se stesso proiettata dalla luce di un sole pallido che entra ed esce dalle nubi sopra Casteldebole. E’ uno dei “grandi noti” da copertina, anche se si fa un poco di fatica a riconoscerlo così smagrito e con rari capelli  in testa. Il suo passo è fatalmente pesante. Le cure intensive, culminate con il trapianto di midollo osseo, per tentare di debellare un male che spesso non concede scampo hanno lasciato il segno e non poteva essere altrimenti. Eppure lo sguardo è quello di sempre. Quello di una tigre certamente ferita, ma niente disposta ad arrendersi. Quello che la sua figlia più grande, Victoria, ha voluto descrivere nelle pagine del libri da lei scritto “Sinisa, mio padre” il uscita il 19 maggio. Pagine dense di paura, di rabbia, di speranza tenute insieme da una solida certezza: “Non mollerà mai”.

Fino a qualche mese fa il tecnico del Bologna era diventato il simbolo e la bandiera di quegli eserciti formati da soldati che mai nella vita avrebbero immaginato di essere reclutati dal destino per combattere una guerra disonesta della quale tutti farebbero volentieri a meno. Con lui, però più lontano e quindi meno visibile, Gianluca Vialli altro guerriero alle prese con la chemio e porcherie simili seppure salvifiche. Mihajlovic era quello che trovava il coraggio e la forza di andarsi a sedere in panchina dopo aver ottenuto un congedo, pro tempore, dai medici dell’ospedale. Il suo ingresso in campo oscurava quello dei giocatori e per lunghi tratti l’attenzione della gente e delle telecamere era tutta e solo per lui. Come i cori a sostegno.

Poi l’Italia, anche quella del pallone, è stata devastata dallo tsunami del virus. Una autentica strage di anime innocenti. Una drammatica teoria di disperati intubati e allineati nelle sale delle terapie intensive. Un numero impensabile di malati sospesi tra la speranza di poterne uscire e l’angoscia di dover abbandonare il campo. Una moltitudine di gente terrorizzata dal pensiero di un possibile contagio. In questo girone dantesco la figura di Mihajlovic  si faceva fatalmente più sfumata e il pensiero alla sua situazione di “malato ordinario” diventava più distratto. Troppe e troppo forti erano le voci di dolore che riempivano l’aria delle nostre giornate infernali per potersi concentrare su una soltanto.

La ricomparsa del tecnico solitario, al quale Bigon non ha potuto neppure stringere la mano, in un momento in cui la gente immagina di poter scorgere uno squarcio di luce al fondo del tunnel permette di riflettere e di capire quanto spesso in casi di crisi totale il privilegio di poter disporre anche di armi economiche potentissime per ottenere cure negate alle persone normali può valere meno di zero. Il male non fa i conti in tasca a nessuno e “’a livella” è sempre pronta ad entrare in azione per principi e barboni. La medicina più efficace e talvolta risolutiva ciascuno di noi la possiede nella mente e nell’anima. Si chiama forza che è un mix alchemico di rabbia e di voglia di vivere con il quale si può battere anche il più subdolo e devastante dei nemici. Mihajlovic e Vialli, nelle loro solitudini, stanno dimostrando di saper come fare.

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