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  • La sorpresa Nottingham Forest, ma anche l'Inter: un'alternativa al guardiolismo è ancora possibile

    La sorpresa Nottingham Forest, ma anche l'Inter: un'alternativa al guardiolismo è ancora possibile

    • Simone Eterno
      Simone Eterno
    Il calcio evolve di continuo, lo fa da sempre. Eppure c’è una pratica che sembra resistere, capace di tanto in tanto di regalare momenti inscalfibili, pagine di granito, inalterabili di fronte allo scorrere del tempo. Siamo ormai prossimi alla maggiore età dell’ultima grande rivoluzione che è stata introdotta nel football, quella della costruzione dal basso e del controllo costante della palla portata con successo dal Barcellona di Guardiola. Replicata, imitata, evoluta, qua e là a fasi alterne e con altrettanto alterni successi; che si tratti ormai, però, di pratica comune, sdoganata a tutti i livelli, beh basta mettere la testa fuori di casa per accorgersene. E’ infatti al di là dei nostri schermi e sui campi minori che si confuta il successo di un’idea, ossia quanto effettivamente questa sia penetrata nella collettività, soprattutto al di là del professionismo. E allora chiunque di voi in questi ultimi anni sia andato a vedere cosa succedeva - e succede - nelle nostre serie giovanili, si sarà accorto come del ‘guardiolismo’ ci siano tracce palesi ovunque, fin dai primissimi anni di calcio delle nostre future leve.

    L’idea del Pep è passata e diventata pensiero comune. Si gioca così, partendo con il palleggio dal basso e poco importa se a volte, proprio con i bimbi, si assiste a situazioni grottesche, scenari di gioco semplicemente impensabili una ventina d’anni fa. Questo crea - e creerà - tutti i pro e i contro del caso. Da una futura generazione teoricamente più incline al palleggio proprio come gli spagnoli, alla quasi totale perdita di quell’arte della marcatura, ad esempio, di cui il modello di difensori italiano aveva fatto scuola. Probabilmente nasce proprio da qui il Capello-lamento, quel “Guardiola ha rovinato il calcio italiano” che don Fabio di tanto in tanto torna a risuonare.

    Al di là di tutto questo però, queste righe, vogliono in realtà raccontare come un altro tipo di modo di intendere il pallone sia ancora in qualche modo non solo fattibile, ma persino di successo. E la storia di oggi arriva proprio da un campionato che una ‘sorpresa’ del genere, una decina d’anni fa, l’aveva in fondo già fatta. Se questa mattina infatti il Nottingham Forest, forte della vittoria sul campo del Tottenham, appare un po’ più vicino all’aggancio a un posto in Champions League semplicemente impensabile all’inizio della stagione, a sorprendere ancor di più sono un paio di dati statistici che si nascondo dietro la squadra di Nuno Espirito Santo. In un calcio in cui tutti oggi vogliono avere il pallone, il Forest quarto in classifica in Premier non lo vuole mai. I rossi di Nottingham infatti sono la squadra con il peggior possesso palla del campionato inglese: la tengono in media il 39.3% del tempo nelle loro partite; davanti a loro tutte le altre 19. Ma non solo. Oltre a non volerla mai la palla, il Forest, è anche quella che fin qui ha completato meno passaggi di tutte: 10.986. Più o meno la metà del - guarda caso - Manchester City di Guardiola che ad oggi sta già abbondantemente sopra a quota ventimila passaggi, ma con solo un punto in più classifica proprio rispetto al Forest. Dati curiosi, perché apparentemente in totale diniego da quella rivoluzione assorbita in sostanza a tutte le latitudini.

    Il Nottingham Forest di questa stagione è infatti una squadra dalla straordinaria capacità di ribaltare velocemente in transizione - una volta avremmo scritto ‘in contropiede’ - e dall’altrettanto straordinario cinismo nello sviluppo dei calci da fermo, soprattutto quelli d’angolo. Nuno Espirito Santo, tecnico navigato e dalle influenze di un calcio portoghese che è stato certamente parte integrante della rivoluzione lanciata da Guardiola, sembra aver approcciato a una scelta in totale controtendenza con ciò cui per anni abbiamo assistito. Il Forest si basa sulle veloci transizioni di giocatori come Elanga o Hudson-Odoi, ma anche di terzini fisici come l’ex Torino Ola Aina o Williams, abbinando ovviamente quella fisicità imprescindibile nell’iper-muscolare calcio d’Oltremanica. Per certi aspetti, e torniamo alla citazione precedente, si palesa come un’evoluzione di quel Leicester di Ranieri che nel vuoto di potere della stagione 2015/16 seppe scrivere la pagina più incredibile della storia del calcio. Il concetto fu più o meno simile, interpretato all’epoca da una stagione da favola di due esterni come Albrighton e Mahrez, ma soprattutto dalla capacità di andare negli spazi in verticale del tarantolato Jamie Vardy. Fu quella la ricetta all’epoca e questo Forest ne sembra un’evoluzione ancora più estrema, applicata 10 anni dopo a una realtà complessiva chiaramente mutata, ma al tempo stesso parecchio standardizzata nella sua voglia, appunto, di ‘fare calcio’ col pallone tra i piedi come ormai tutti vogliono fare.

    La sorpresa Nottingham Forest, ma anche l'Inter: un'alternativa al guardiolismo è ancora possibile

    Dove vogliono arrivare queste righe? A nessuna presunzione di teoria in particolare, ma solo ricordare come l’antica e tanto bistrattata arte del chiudersi e ripartire, se volessimo estrapolare il concetto estremo, seppur con le dovute modifiche dei tempi, riesca ancora a sopravvivere. Certo, è diventata anche lei un concetto molto più complicato nella sua applicazione, ma la stagione in Premier Legaue di questo Forest, e in qualche modo anche quella in Champions League dell’Inter di Inzaghi, ci ricordano che un altro ‘pallone’ è ancora possibile. I nerazzurri infatti sono l’unica delle quattro squadre a portare una filosofia completamente differente rispetto al controllo ossessivo che Arsenal (di uno spagnolo), PSG (di uno spagnolo) e Barcellona (del più spagnolo dei tedeschi, successore vincente proprio di quel Bayern Monaco targato Guardiola) vogliono invece imporre nelle loro partite. Un calcio dove giocare col blocco basso non significa lesa maestà; e dove evidenti e pregevoli evoluzioni tecniche come le capacità di inserimento dei braccetti difensivi, si uniscono a quello che di fatto resta il ‘core business’ dei nerazzurri: la capacità di essere precisi e cinici quando vengono offerti spazi aperti.

    Insomma, questa stagione, tra le sue sfumature, dopo quasi 18 anni di rivoluzione ‘guardioliana’, ci dice che un altro mondo, apparentemente comunque in via d’estinzione, continua a sopravvivere. E soprattutto che l’uniformarsi al pensiero unico - nel football come nella vita - lascia aperte possibilità ai più ingegnosi di poterne trarre vantaggio. Perché in fondo tutto ruota intorno alla massima di Jorge Sampaoli. L’allenatore argentino, all’epoca commissario tecnico del Cile, parlò così dopo una sconfitta per 3-0 con l’Uruguay arrivata nonostante il 73% di possesso palla dei suoi: “Una notte ero in un bar con una donna. Abbiamo parlato tutta la notte. Abbiamo flirtato. Le ho offerto dei drink. Alle 5 del mattino entra un uomo, la prende per il braccio e la porta in bagno: fanno l’amore e se ne vanno insieme. Ma non mi importa, io ho avuto la maggior parte del possesso quella notte”. Vi resta solo da capire chi siete. Ma soprattutto quale filosofia applicate alla vostra vita. Se quella di Sampaoli. O se quella dell’uomo sconosciuto. Spazio, nel calcio, ce n’è per davvero per tutti. E forse, davvero, in troppi in questi anni se lo sono dimenticato.

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    Utente vxl 18361
    Utente vxl 18361

    Paragonare l Inter al Nottingham è un assurdità: l Inter non fa catenaccio e contropiede,o almeno...

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