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  • L'evoluzione del Gattopardo
L'evoluzione del Gattopardo

L'evoluzione del Gattopardo

  • Fernando Pernambuco
Mario Sconcerti non si discute. Sciorina statistiche, dati e azzarda interpretazioni tecniche che portano poi a centrare il DNA di una squadra. Per di più, ha scritto un bellissimo libro, che travalica le vorticose orbite del pallone “Storia delle idee del calcio”: privo di gossip, aforismi televisivi e non, è capace di raccontare e analizzare allo stesso tempo  ascisse e ordinate di questo gioco bello quanto indefinibile. Però sta lì, su una specie di trono a metà tra quello di un decano e d’un Papa. Immobile, ieratico, sostanzialmente antitelevisivo e forse asocial, appartenente alla sfolgorante inattualità, che piace agli spiriti critici. Ma è, come si dice, d’una certa età. Un giornalista, non un intrattenitore, fuori dalla mischia arrembante dei volti nuovi.

Caressa urla troppo, urla anche quando sta zitto, gesticola anche quando sta fermo, deborda nelle telecronache della Roma vincente e si accascia in quelle della Roma perdente. Resta indelebile per imparzialità, lo sbocco intrattenibile in occasione del vantaggio dei lupi in un Roma-Inter, in cui urlò a microfono distante un curvaiolo: “E vai…e vaiii” in faccia ad un attonito Bergomi. Passionale trattenuto, ha l’obbligo di bilanciarsi se non altro per il suo ruolo di condirettore a Sky, ma è come se fosse sempre un fiume in piena sul punto di straripare. Spesso è troppo; l’imprinting del suo mentore Michele Plastino (lui lazialissimo) è lì; riemerge sovente con effetti di saturazione. E il troppo alla fine “stroppia”,  satolla.

L’altro “allievo” di Plastino, anche lui giunto agli onori del successo, è  Pierluigi Pardo
. Romano, del quartiere Trieste, quest’ultimo oggi assurto agli onori letterari in virtù del libro di Edorado Albinati (“La Scuola Cattolica”) vincitore dell’ultimo Premio Strega, Pardo è sulla cresta dell’ onda. Lo trovi dappertutto: a Mediaset con “Tiki Taka”, da poco raddoppiato con una programmazione giornaliera oltre a quella settimanale, nelle telecronache più importanti trasmesse dal Biscione, sul “Corriere dello sport” con una rubrica, su Radio 24 dove era giunto in qualità di ospite fisso a “Tutti convocati” e ora ne è divenuto conduttore, affiancando Carlo Genta e Giovanni Capuano. Gioviale, sbarazzino, “piacione”, Pardo da destabilizzatore ironico qual’era, si è via via trasformato in un ragazzo saggio che ce l’ha fatta. Un cerchiobottista perfetto, che ad ogni domanda risponde attraverso la formula  definibile come quella dell’azzeramento dialettico: dice una cosa e il suo contrario.  Alle domande che l’incalzante Genta pone, risponde ritualmente attraverso la retorica della soppressione del giudizio, parlando però con tempi perfetti. La sua risposta si configura quasi sempre così: “Si, ma anche no. In questo modo, ma anche nell’altro”.  Quel tale allenatore è fortissimo, ma deve ancora dimostrare qualcosa. L’Inter non poteva fare scelta migliore con Pioli, però bisogna fare in modo che i fatti lo confermino….

Più che negli argomenti, la sua forza sta appunto nel ritmo perfetto delle entrate e delle uscite che fanno dimenticare ben presto la disamina. E’ un batterista, non un melodico. Partì incendiario (con prudenza), è divenuto pompiere (con entusiasmo). Accerta, per mezzo della sua bella voce e la faccia da gattone, il già avvenuto; rivela il rivelato, ma i modi sono da scopritore. In fondo è un presentatore, che si sta baudizzando o contizzando sempre più. Perfetto per Sanremo, più che per irrituali letture. I suoi amici romani lo dipingevano come un fenomeno sui campetti di calcio per la sua agilità, ma questo, forse una ventina d’anni fa, quando lo chiamavano “Ghepardo”. Ancor oggi felino ha lo sguardo, ma la complessione segnala ormai quello che Flaiano definiva “lo sfondamento della linea cotica” ovvero la panza.

“Panattizzato”, col fluente capello che incornicia una bella faccia tonda, imperversa dallo studio di “Tiki Taka”, a ritmi sostenuti, tentando sempre la carta dell’intrattenimento generale a partire dal mondo della pedata. Al suo fianco, la vorticosa Melissa Satta, in vena di trasgressioni alla “Basic Instinct”, dovrebbe offrire l’agognato pepe. Lui lo vorremmo più spadaccino, però, più Cyrano, fuori dai porti sicuri del “sì, ma” o del “però, anche”. 

Alcuni giorni fa di fronte alle intemerate sguaiate e immotivate di Briatore, ha glissato e provato a tergiversare. E lì è caduto. Invece di tenere il punto, ribattere che chiedere se a Montecarlo esistano i poveri è del tutto lecito e non rappresenta alcuna invidia sociale, ha preferito ingoiare “le maronate” furenti, citare il libro dell’ ex geometra di Cuneo e poi porgere la domanda da chierichetto: “Ho sentito che a lei piacerebbe molto Balotelli al Napoli. E’vero?” L’altro, al culmine dell’ ira, gli ha risposto: “Ma lasciatemi stare, che me ne frega a me. Arrivederci.” Lo straordinario non sta nel fatto che Briatore faccia l’arricchito prepotente  ( è il suo mestiere) ma che sia messo in grado di fare il “maitre à penser”, capace di dispensare  giudizi sul sociale, sul mercato e sul genere umano in generale. E tutto questo per regalargli uno spot sul  libro di cui è coautore, pubblicato da qualche settimana. Si dirà che la formula del salottino televisivo a ruota semilibera è quella, ma ci è dispiaciuto vedere il fulmineo ghepardo intontito dal montante di Briatore.

Già: ghepardo evoca agilità, rapidità, aggressività…Pierluigi sembrava così, ma oggi non lo è più. Ci domandiamo se mai lo sia stato. A lui si attaglia meglio il nome di  gattopardo, che sempre felino africano è, però poco più grande d’un gatto e meno feroce del ghepardo. Ma nulla ha a che fare col “ Gattopardo” siciliano, col Principe di Salina, protagonista dell’omonimo romanzo di Giuseppe Tomasi di Lampedusa. Quel Gattopardo era alla fine, rappresentava il tramonto d’un’ epoca e d’una civiltà: “Noi fummo i Gattopardi, i Leoni; quelli che ci sostituiranno saranno gli sciacalletti, le iene; e tutti quanti Gattopardi, sciacalli e pecore continueremo a credersi il sale della terra.”

Pierluigi Gattopardo, non dico sbranarlo, ma almeno un morso a Briatore potevi darlo.

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