Calciomercato.com

  • Laziomania: ho provato a spiegare a mio figlio il derby di Roma
Laziomania: ho provato a spiegare a mio figlio il derby di Roma

Laziomania: ho provato a spiegare a mio figlio il derby di Roma

  • Luca Capriotti
Ho provato a spiegare a mio figlio neonato il derby. Non è stato difficile: a Roma certe cose te le senti dentro. Mio figlio ha meno di un anno, ancora non può capire. Ma ho provato a spiegargli lo stesso. E forse ho provato pure a spiegarlo a me stesso.

Tutto comincia, in questa città, come se fosse naturale la competizione, l'agone. Romolo e Remo, ma non solo. Tutto a Roma, nella sua goliardia, nella sua abbacinante bellezza contraddetta, è competizione. L'Urbe è stata scalata, tradita, perfino conquistato. Dicevano i Romani che con Roma sarebbe finito il mondo. E infatti Roma c'è ancora. Ma ha sviluppato la contraddizione, una specie di edera tossica le si è stretta addosso. Tutto qui vive su quest'aspetto: appartenenza, e disprezzo. Passione, e buca nel cemento, dove affondano le ruote della città. 

Ma il derby contro la Roma è qualcosa di più semplice. Per spiegarlo a mio figlio devo ridurlo, al minimo. Devo cristallizzarlo. Quando qualcuno segna, quando la Lazio segna, mio figlio ancora si spaventa. Ancora non capisce, sente solo urlare, sente solo rumore forte, improvviso. Il derby è quel rumore improvviso. Qualsiasi stagione può snodarsi, vivere di ambizioni, obiettivi. Gli anni dei tifosi crescono, le barbe si fanno più ispide, gli sguardi più duri. Ma all'improvviso c'è un rumore forte, improvviso. E, in qualche modo misterioso, fa piangere. 

Ma il derby contro la Roma è qualcosa di più complesso. Per spiegarlo a mio figlio devo allargarlo, al massimo. C'è qualcosa di salvezza, di redenzione, di peccato in questa folle attesa che dura sei mesi. C'è qualcosa di genetico, genealogico: mio nonno guarda a mio figlio come se fosse naturale portarlo allo stadio, dargli la Lazio addosso. Fargli sentire l'appartenenza. Forse sta tutto là: appartenere a questa famiglia esclude l'altra. Quello che diciamo tra noi esclude gli altri. Ci puoi lavorare fianco a fianco, intrecciare amicizie, ma chi è di Roma lo sa: dalla settimana prima i veri amici smetteranno di parlare seriamente di calcio. Inizieranno schermaglie, finte, sorrisetti. E dopo, inizierà di nuovo la convivenza forzata. Ma chi perso sa, chi ha vinto sa. E tutto si gioca su quel sapere, quel sorriso disonesto, la battuta accennata, la scommessa persa. 

Ma il derby di Roma è qualcosa di emozionante. Risale tutte le linee temporali delle emozioni fino alla più antica, quella che ancora mescola fiducia e paura. L'attesa, che da sempre fa impazzire l'uomo, la tensione verso qualcosa che accadrà comunque, volente e nolente.  Possono rovinarlo, sporcarlo, perfino insanguinarlo come bestie macellaie. Ma il derby di Roma io lo spiego comunque a mio figlio. Appartenere significa esserci. Mio figlio, io padre, ci sono per lui, c'è lui per me. Ci sono i tifosi allo stadio. Lo sa mio figlio, me lo spiega lui ogni giorno. Appartenere significa esserci. Vale anche per il derby.

Altre Notizie