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  • Laziomania: la guerra degli ultras e l'arma dei cori antisemiti

    Laziomania: la guerra degli ultras e l'arma dei cori antisemiti

    • Luca Capriotti

    Non si capiscono i cori anti-semiti (ci sono stati, sempre gli stessi) se non si inquadra un paesaggio più ampio. O meglio: non si capisce perché proprio ora i cori anti-semiti, in un momento in cui tutti, nel mondo del calcio, sono pronti, con le orecchie dritte, sul tema, tanto da interessare il ministro dell'Interno Salvini. La vicenda Koulibaly in Inter-Napoli, gli scontri pre-partita, hanno acceso i riflettori sul tema del razzismo negli stadi, e più in generale direi sul tema degli ultras. 

    Sul tema del razzismo non mi pronuncio, la considero anche una questione politica: è inaccettabile, ma credo dobbiamo certificare che, in Italia, quello che un tempo era chiamato razzismo ora è chiamato "occhi aperti", "realismo". Quello che un tempo era giudicato inaccettabile, relegato a poche persone, spesso ai margini, ora è socialmente accettato, quasi incoraggiato. Non si chiama razzismo, secondo me rimane tale e quale. Al di là di questo, sull'antisemitismo negli stadi si potrebbe aprire un lungo e raffinato dibattito: non ci nascondiamo dietro un dito, molti gruppi organizzati hanno idee molto marcate sull'argomento, da sempre, probabilmente le avranno sempre. Il problema è quando decidono di renderle pubbliche. E quando i riflettori si accendono. 


    Sono due problemi legati: i riflettori si accendono ad intermittenza su questi temi, perfino i giornalisti ragionano con le sciarpe, anche perché i tifosi questi cercano, giornalisti-faziosi, che tifino e lascino stare questa e quella squadra. L'ambiente Lazio lamenta questo doppio-pesismo:  molti episodi legati al mondo biancoceleste sembrano amplificati, altri dimenticati, seppelliti. Nella stessa settimana in cui, in diretta nazionale, si è parlato dei cori di Lazio-Novara, comparivano adesivi che accomunavano Lazio, Israele e Napoli. E i tifosi della Roma, firmatari di quegli adesivi, diventavano su qualche organo di stampa, "presunti tifosi della Roma". Nessuno ha detto "presunti", sugli autori dei cori antisemiti di sabato, e ci mancherebbe. Questo è un grosso vulnus sulla credibilità del sistema: condannare i cori deve essere costante, forte, continuo. Altrimenti si autorizzano comportamenti auto-assolutori, estremamente nocivi. 

    L'altro problema, che secondo me deve dare le coordinate, è tutto contenuto in una frase che ho sentito su una radio che parla di Lazio qualche giorno fa: "In guerra bisogna fare quello che il nemico NON vuole, anche se fossero i cori razzisti, o anti-semiti". Mi ha colpito, perchè secondo me apre uno squarcio su cosa anima questi cori ora, e non prima, cosa muove gli ultras ora, e non prima. Si sentono in guerra come categoria, i tifosi organizzati. Attaccati dalle società, non tutte, dal caro-prezzi e dall'aumento esorbitante del prezzo dei biglietti, dalle norme restrittive forti, rispondono con rabbia. E attaccano dove sanno che l'opinione pubblica è sensibile, vulnerabile, scoperta, resa scoperta anche dal doppiopesismo, dalle ipocrisie di atteggiamenti pubblici, privati: razzismo, anti-semitismo, parità di diritti tra uomini e donne. Se questa è una guerra, non so se lo sia veramente, non so come finirà: so solo che finché si penserà "sono pochi", "non li ho sentiti", "li attacco solo perchè sono della Lazio", questo è certo, la guerra la perdiamo tutti. 

     

    p.s. che siano comportamente inaccettabili, per me è scontato, ma siccome non lo è per tutti, lo voglio sottolineare con forza


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