Calciomercato.com

  • Laziomania: qualcosa di più di 118 anni di storia

    Laziomania: qualcosa di più di 118 anni di storia

    • Luca Capriotti
    118 di questi Luis Alberto, di questi Immobile, di questi sorpassi, di questi Inzaghi che seguono il suo attaccante, scatto sullo scatto, di questi gol di Murgia allo scadere, di questi trofei e di calciomercato e chiacchiere e rinnovi. La Lazio festeggia i suoi 118 di anni di storia, e non è una storia qualunque: una favola bella, che illude, e fa ancora sperare, e fa ancora stringere. 118 anni di attacchi d'arte e difese incredibili, di lunghe attese e stadio pieno, di settore vuoto, di pochi a difenderla, con le voci, con il cuore, di ingiustizie e stranezze, di pistole e veleni. 118 anni di talento smisurato e talento inespresso, di D'Amico e Nesta, Giordano e Wilson, Piola e Chinaglia. Come se fosse un lungo brindisi. 

    118 anni di momenti cupi, di Di Canio a 18 anni sotto la Curva Sud e poi ancora una volta, "je hai fatto male Paolè", come se la storia dovesse ripetersi solo per cristallizzare per sempre qualcosa di bello. Di rivalità e avversari, di rispetto e goliardia, di derby lunghi come mille anni, e attimi di pura gioia, e attimi a guardare l'altra curva che esulta. Come se essere unici non bastasse: un film lungo, da quei pionieri in Piazza della Libertà, che ha avuto drammi e tragedie, martiri e morti ammazzati, dolore infinito e sguardo a chi non c'è più. Forse per questo 118 anni sono un brindisi lungo, anche verso il cielo: da Paparelli a Re Cecconi, fino a Gabriele Sandri, storie diverse e un solo, lungo brindisi. Su c'è il Maestro, cantano ancora i tifosi della Lazio, perché la scomparsa di Maestrelli, l'allenatore del primo, miracoloso Scudetto, ha lasciato qualcosa di rotto, di fragile per sempre. E poi gli scandali, le manette, la B, perché ogni storia ha la sua faccia da accettare, sconfitte da vivere con dignità, e poi gli eroi a cui i tifosi della Lazio hanno costruito una speciale nicchia nel destino, il gol di Poli e la rete di Fiorini, l'autostrada piena verso il sud e l'inzuccata di Simeone a Torino, Vieri con la testa fasciata, Veron con il pizzetto d'oro e "a Birmingham si sente il coro dei tifosi della Lazio, sale al cielo", Salas che tocca il pallone più importante, nel momento più alto forse, contro il Manchester United che piega la testa. E sono le 18.04 minuti, la Lazio è campione d'Italia, il diluvio di Perugia, i funerali del calcio e gli scudetti sfilati dalla storia e dalla dimenticanza, quelli strappati alla storia e alla negligenza con sudore e fatica e sacrificio. L'addio di Nesta (chi se lo può scordare, Alessandro Nesta, e quel momento "ma lo hanno venduto, lo hanno venduto davvero, papà?"), e il parcheggio intorno all'Olimpico che non c'è mai, le corse per il posto, il tornello e le file, il  boato e le trasferte. Forse alla fine è stato un lungo sorso dal calice. Non credo che in testa di quei pochi pionieri, nel 1900, ci fosse tutto questo. Forse c'era solo un brindisi, un sogno grande, una lunga e appassionante storia da scrivere ancora. A cui brindare ancora. 

    Altre Notizie