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  • Le verità di Signori: 'Io, il boss dei boss divenuto carne da macello. Ho rischiato di schiattare, scommettevo per migliorare'

    Le verità di Signori: 'Io, il boss dei boss divenuto carne da macello. Ho rischiato di schiattare, scommettevo per migliorare'

    Beppe Signori può sorridere. Lo fa a dieci anni di distanza dall'arresto per calcioscommesse, nel day-after della grazia con cui il presidente federale Gravina lo ha riabilitato, (ri)dandogli la possibilità di tornare protagonista nel mondo del pallone: "Sono passati dieci anni, precisi precisi" racconta al Corriere dello Sport. "E poi uno non dovrebbe essere scaramantico. Oggi venivo arrestato. Oggi, proprio oggi. Il primo giugno 2011 mi accompagnavano in questura a Bologna, il primo giugno 2021 è finito tutto. La grazia dopo due assoluzioni piene. Né manette né gabbio, grazie a Dio. Ho fatto quattordici giorni ai domiciliari e basta. La galera me l’hanno risparmiata. Ma risparmiare il carcere al boss dei boss non è forse una colpevole incongruenza? Una vicenda nata male, la mia. Sotto tanti aspetti. Mai, ripeto mai sono stato interrogato dal pm che ordinò l’arresto. Ho subìto solo l’interrogatorio di garanzia da parte del gip, e dopo dieci, undici giorni, i tempi naturali, mi spiegarono. Il pm si sedette di fianco a me, il tutto durò quarantotto minuti, il più breve. E dopo tre minuti il pm si alzò e disse: 'Vado via, vista l’inutilità di questo interrogatorio'. In seguito ho chiesto decine di volte di essere riascoltato, ma ho sempre ricevuto la stessa risposta. No no, no no. E questo mi ha fatto pensare al fatto che ero soprattutto - lo si ricava dall’ordinanza - il volto dell’inchiesta. Duemilaundici, non c’era niente. Non c’erano Mondiali, né Europei. Un nome abbastanza noto in Italia e nel mondo che non fosse tesserato, il mio. C’erano tutte le condizioni per trasformarmi da mente, finanziatore e scommettitore nella faccia da mostrare al pubblico. Carne da macello. Io ho acquisito le intercettazioni, in 70mila registrazioni il mio nome non esce mai... Non ci sono".

    SUI DANNI - "Fisici, psicologici, tanti i danni che mi ha procurato questa storia. Cicatrici enormi. Due anni fa mi è partito un trombo dal polpaccio che ha bucato il polmone. Mi sono ritrovato al Sant’Orsola sdraiato, intubato, perché stavo per schiattare. Ovviamente al trombo hanno concorso diversi fattori, però l’inchiesta ha contribuito a debilitarmi, insomma l’ho somatizzata. Le troppe sigarette hanno fatto il resto. Così come mi piaceva scommettere, mi piaceva fumare. Ho pagato, ho pagato tutto e troppo. Io ludopatico? Ludopatico, no. Che mi sia sempre piaciuto scommettere, lo sanno pure i muri. Già da ragazzino vivevo di sfide, ho sempre considerato il mio modo di scommettere un incentivo a migliorare. Ricordo che alla Lazio feci una scommessa con Maurizio Neri. Era un periodo in un cui non riuscivo a segnare, mi trovavo in grande difficoltà. Scommisi che a fine stagione avrebbe giocato meno minuti lui rispetto ai gol che avrei segnato io. La vinsi, naturalmente. È un esempio stupido, se vuoi, ma la sfida del Buondì Motta e altre ancora come le vuoi catalogare? Per come sono fatto di carattere, non esiste che io vada da un calciatore per dirgli 'ascolta, ti do i soldi se perdi la partita'".  
     
    SUI SOLDI BRUCIATI - "Leggende metropolitane. La verità è che mi piace il gioco, frequentare il Casinò, vinci, perdi, rivinci, riperdi. Il giocatore non vuol sapere prima come andrà a finire, l’adrenalina è l’accensione, il rischio il senso della puntata. Quando sono entrato in questo vortice la cosa più straniante è stata proprio questa. Se io sono un giocatore e conosco già il risultato finale non sono un giocatore".  
     
    IL MOMENTO PIU' DIFFICILE - "L’arresto, sicuramente l’arresto. Mi sembrava di essere finito dentro un film. Fermato, accompagnato in questura… Mi chiamò mia sorella mentre ero sul Frecciarossa per Bologna e chiese in quale carcere mi avessero portato. Che cazzo stai dicendo? le dissi. E lei: Perché sei stato arrestato. Io arrestato? Ma se sono sul Frecciarossa. Arrivato a Bologna domandai ai due poliziotti in borghese che mi vennero a prendere cosa stesse accadendo. Risposero che era per una questione relativa a delle società. Pensai subito a mio padre, avevamo delle società insieme, che cazzo avrà combinato? Mi mostrarono la foto del tg con il lancio 'arrestato Beppe Signori per il calcioscommesse'. Ero incredulo, loro che mi guardavano quasi sorpresi. Furono gentilissimi, uno dei due mi spiegò che la procura di Cremona aveva già venduto la notizia… La mia vita è stata completamente stravolta. Dalle situazioni più delicate, i bimbi che andavano a scuola a Roma. Sai, Roma e Lazio - 'tuo padre se vende le partite' - ai rapporti con le persone. Nicolò aveva dieci anni. Per loro fu molto pesante. E pesante lo è stato per Tina, mia moglie".  
     
    LA BATTAGLIA PERSONALE - "Ho avuto dei grossissimi momenti di sconforto, in particolare all’inizio. Non dico che ho pensato a gesti estremi… O meglio, ci ho pensato, ma non ho mai preso in considerazione l’idea di farla finita. C’erano i figli, mia moglie, gli amici più stretti che mi sono stati accanto, alcuni dei quali sono venuti a mancare, i miei familiari, mia sorella. Se entro in un negozio e rubo una mela, mi rivolgo all’avvocato e gli spiego che ho rubato una mela e che dobbiamo trovare un escamotage per uscirne puliti. Il problema sorge quando non entri nemmeno nel negozio e ti accusano di aver rubato la mela. Giustificare una cosa che non hai fatto è assurdo, ci sono momenti in cui non ci stai più con la testa".  

    SULLE ACCUSE - "Non mi curo di loro. Ho voluto fugare qualsiasi tipo di dubbio, non con la grazia, ma con l’assoluzione piena perché il fatto non sussiste. Dieci anni ci sono voluti, sono questi i tempi della giustizia in Italia. Non ho bisogno di convincere nessuno. Non più. Domando solo: è possibile che in questi dieci anni non abbiano trovato nulla? Sono stato l’unico che ha voluto andare fino in fondo. Io ero già sereno dopo le due assoluzioni, mi han dato grande forza. Ho affrontato vari processi, numerosi interrogatori, sono entrato in un ambiente che non era il mio. Il tribunale. Non so se l’hai mai provato, ma stare davanti a persone che non ti conoscono e sono lì per giudicarti è un’esperienza sconvolgente. Temi che un testimone racconti delle cagate che poi devi smontare. Ringraziando Dio, nei due processi, sia a Modena, sia a Piacenza, i testimoni dell’accusa hanno confermato che io non ero mai stato neppure nominato. Dico Carobbio e Gervasoni, che hanno ammesso di aver combinato delle partite. Il nome di Beppe? Mai sentito: non sono presente nelle intercettazioni perché non parlavo con queste persone e allora come facevo a organizzare e finanziare le puntate? Con i segnali di fumo? Io, il boss dei boss. Mi hanno intercettato, seguito, pedinato. Fino in Svizzera, da McDonald’s, allo zoo. Ho comprato le intercettazioni perché volevo entrare nella testa di chi mi accusava".  
     
      SUL FUTURO - "È già una vittoria rivedere il numero del tesserino da allenatore ottenuto nel 2010, pochi mesi prima dell’arresto. Volevo fare l’allenatore. Dietro una scrivania non mi ci vedevo. Oggi mi piacerebbe rimettermi in gioco, faccio la battuta: vorrei scommettere su me stesso".

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