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  • Leonardo non lascia l'Inter: dice addio a Milano, al derby e al calcio italiano

    Leonardo non lascia l'Inter: dice addio a Milano, al derby e al calcio italiano

    • Gianluca Minchiotti

     

    Il 12 maggio, in occasione della semifinale di andata di Coppa Italia contro la Roma, la curva dell'Inter a San Siro aveva intonato dei cori anti-Gattuso, colpevole, pochi giorni prima, di aver cantato insieme agli ultras del Milan il coro "Leonardo uomo di m....". E sempre la curva nerazzurra, quella sera, aveva invitato squadra e allenatore a saltare al grido di "Chi non salta rossonero è...". Quella sera, Leonardo, che con un comunicato ufficiale aveva fra l'altro invitato il Milan a prendere posizione sul comportamento di Ringhio, si rifiutò di saltare, facendo capire di non essere un tifoso, di non avere nè bandiere da sventolare nè casacche da indossare, rossonere o nerazzurre che fossero.
     
    L'uomo Leonardo, il professionista Leonardo, è tutto nel comportamento di quella serata: un personaggio completamente orientato a lavorare e a dare tutto per fare il bene del suo datore di lavoro del momento, ma senza mai diventarne un partigiano ad oltranza. Un comportamento che, al Milan, lo aveva mandato in rotta di collisione con Silvio Berlusconi
     
    L'orticaria di Leo per le bandiere, oltre che il fascino per l'impresa che lo attende (far diventare grande il Paris Saint Germain), è alla base della scelta del brasiliano di lasciare l'Inter e, soprattutto, Milano. Troppa pressione, troppo dualismo, 'troppo derby', troppe polemiche. A pensarla così sono anche fonti brasiliane che hanno seguito tutta la carriera dell'uomo di Niteroi: "Uscendo dall'Inter, Leonardo esce anche dal dualismo Milan-Inter, che per lui era come una camicia di forza. Troppa pressione, troppe battaglie, poco tempo per pensare alla cosa che più lo interessa, il gioco del calcio". 
     
    Poche settimane fa, in conferenza stampa, Leo aveva dichiarato: "Il calcio italiano si chieda come mai personaggi come Mourinho, Villas Boas, Guardiola, Capello, non vogliono più allenare in Italia". Ancora non lo sapevamo, ma in quel frangente Leo stava già spiegando il suo addio all'Inter, a Milano e a un calcio, quello italiano, troppo martoriato dalle polemiche e dagli scandali per piacergli ancora. 
     
    Le battaglie, anche politiche, che non sopporta, e la passione per il gioco del calcio. Fra questi estremi è da ricercare, secondo chi lo conosce bene in Brasile, la sua mancata nomina, nel 2010, alla guida del comitato organizzatore dei Mondiali brasiliani del 2014 o, in subordine, la sua nomina a ct del Brasile. "Leonardo Nascimento de Araújo è un uomo libero, non fa parte di nessun 'partito'. E' per questo che, lo scorso anno, non è stato preso in considerazione da Ricardo Teixeira".
     
    Ed è per questo che ora Leonardo sceglie di tornare libero, a Parigi. 

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