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  • Lo sport per un diverso welfare, Poli a CM: 'La rivoluzione dopo la pandemia'

    Lo sport per un diverso welfare, Poli a CM: 'La rivoluzione dopo la pandemia'

    • Pippo Russo
      Pippo Russo
    Il welfare proseguito con altri mezzi. E con risultati che, in termini tanto di obiettivi quanto di costi, potrebbero innescare un regime virtuoso in termini di salute pubblica e di benessere diffuso. E al centro di un progetto così ambizioso non può che esserci lo sport. È questa l'idea espressa da Fabio Giuseppe Poli, Presidente dell'Università del Calcio Roma 5 – San Raffaele. Dopo avere illustrato la proposta dalle colonne di alcuni giornali, Poli ha accettato di parlarne con Calciomercato.com.

    Parto dall'idea che lo sport deve diventare un pezzo del welfare perché strumento per la promozione di stili di vita attivi, dunque di salute – esordisce Poli –. Ciò che dovrebbe essere una cosa normale e invece nel nostro Paese pare un'idea rivoluzionaria. E allora facciamola pure questa rivoluzione. Se c'è qualche vantaggio che possiamo trarre da un periodo tragico come questo della pandemia, esso è la rimessa in discussione di molti aspetti del sistema complessivo da cui è regolata la nostra vita quotidiana. A partire dalle politiche di promozione della salute”.

    Vasto programma. Come fare a realizzarlo?
    “Basterebbe partire dai riferimenti normativi. La legge 833 del 23 dicembre 1978, che istituisce il Servizio Sanitario Nazionale, parla di tutela sanitaria delle attività sportive. Dunque c'è un'impostazione di fondo che rende praticabile questo sviluppo. Quanto allo specifico, cioè a cosa si può fare, prendo a modello ciò che è stato sperimentato presso il comune di Strasburgo”.

    Di cosa si tratta?
    “Succede che ci si può presentare presso uno sportello del Servizio Sanitario Nazionale portando una ricetta firmata da un medico, nella quale si prescrive l'attività sportiva, che può essere completamente rimborsata. A prescrivere quella ricetta può essere il medico di base. In Italia tentativi di questo genere sono stati fatti presso alcune regioni: in Piemonte, in Lombardia, in Trentino-Alto Adige. Ma si tratta di passi preliminari. Infatti in quei casi è previsto che il medico possa prescrivere attività fisica, dunque non ancora sportiva, ma quell'attività non è rimborsabile. La prescrizione fatta in queste regioni permette di accedere a delle palestre convenzionate, le cosiddette palestre della salute. Queste palestre offrono condizioni agevolate a chi abbia una prescrizione medica. Per fare un passaggio verso la direzione che auspico servirebbe una legge nazionale. Al momento, il massimo che si possa ottenere sulla base delle leggi vigenti è scaricare il 19%, per una spesa fino a un massimo di 210 euro annui, relativamente allo sport praticato da un figlio dai 5 ai 18 anni. Io invece propongo altro, specie in un momento come questo che vede il mondo dello sport in grande sofferenza a causa dell'emergenza da Covid-19”.

    Si potrebbe trasformare la crisi in opportunità?
    “Mettiamola così. Penso che si debba creare le condizioni affinché dei medici dotati di un certo tipo di competenza – e poi tornerò su questo punto – siano in grado di prescrivere l'attività sportiva a soggetti portatori di determinate patologie. E queste attività devono svolgersi in modo qualificato. Come dovrebbe funzionare la filiera? Ritengo che tutto debba ruotare intorno a una figura nuova, quella dell'informatore medico-sportivo. Che può essere un laureato in Scienze Motorie e ha il compito di indirizzare il paziente verso le palestre in cui si faccia il tipo di attività sportiva a lui necessaria. Naturalmente ciò richiede anche un salto culturale, che dovrebbe essere compiuto innanzitutto dai medici di base. Questi ultimi dovrebbero entrare in tale mentalità da filiera e liberarsi da quei pregiudizi che portano a privilegiare certi sport e a stigmatizzarne altri (esempio: nuoto sì, tennis no) in quanto attività fisiche a beneficio della salute. Per questo penso che la figura dell'informatore medico-sportivo debba essere centrale: a costui tocca capire quali siano il protocollo da seguire e la struttura da frequentare. E poi c'è l'aspetto del sistema di vantaggio. Se l'attività sportiva viene prescritta dal medico, allora la spesa che si affronta per svolgerla deve essere equiparata alla spesa farmaceutica. Dunque può essere messa in detrazione nella dichiarazione dei redditi. Ma penso che si debba provare a proiettare questi vantaggi anche all'attività sportiva non prescritta, quella autonoma che però abbia effetti virtuosi sulla salute personale. Un'esenzione significativa sarebbe auspicabile”.

    La prospettiva è affascinante. È realizzabile? E sarebbe davvero la soluzione che serve?
    “La si realizza se c'è la volontà di farlo. Quanto al fatto di essere la soluzione giusta mi limito a dire che gli ultimi dati dell'Organizzazione Mondiale della Sanità attribuiscono circa il 70% dei decessi a malattie non trasmissibili, dunque legate agli stili di vita. Inoltre numerose ricerche di origine anglosassone hanno dimostrato che vi è una correlazione positiva fra l'attività sportiva regolarmente condotta (si parla di almeno 40 minuti per almeno tre volte alla settimana) e la riduzione di determinate patologie. Per esempio, una riduzione di circa il 20% di neoplasia (cioè il rischio di tumori). Altre ricerche hanno dimostrato che in età avanzata, dai 65 anni in su, è possibile fare attività con carichi. Chi avrebbe detto che si potesse fare body building a quell'età? E invece adesso succede e diversi studi testimoniano che si tratta di attività salutari. Se diventiamo un Paese più attivo fisicamente otteniamo anche di sgravare buona parte di stress dal sistema sanitario nazionale e di creare un'economia virtuosa. Sarebbe un affare per tutti”.

    @pippoevai

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