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  • Lo stadio della Roma, da Agnelli a Mister No: e allora #Famostoquartiere

    Lo stadio della Roma, da Agnelli a Mister No: e allora #Famostoquartiere

    • Fernando Pernambuco
    Chissà perché, sempre più spesso, quando si tratta di affrontare una questione seria e di esprimere un’opinione netta, a Roma, esplode il gergo. O meglio il vernacolo. Forse per stemperare, con un po’ di farsa, la tragedia. “E famo sto’ stadio” irrompe Spalletti con accento toscano durante una diretta di Sky; “famostoStadio” è l’hashtag ricorrente delle comunicazioni della A.S. Roma;  “famostoStadio” espongono il cartello Strootman, Paredes, Rudiger, Dzeko (ve lo immaginate come lo pronuncerebbero?). Totti no, l’unico con la pronuncia all’ Albertone, si esprime invece in italiano: “Vogliamo il nostro Colosseo moderno, una struttura all’avanguardia per i nostri tifosi e per tutti gli sportivi #FamostoStadio.”

    E’ bastato poco tempo per mettere il sindaco e la giunta comunale di Roma in un angolo, perché il tweet di Totti ha totalizzato una quantità di visualizzazioni addirittura superiore a quelle che hanno spinto Virginia Raggi in Campidoglio. Forse per questa ragione, il Presidente dell’Assemblea Capitolina De Vito (5 stelle) ha immediatamente risposto, in romanesco: “Non te preoccupà Capitano, FamostoStadio, famolo bene. Con A.S. Roma lavoriamo a progetto innovativo.” Già, un “famolo bene”, che ricorda il “famolo strano” di Verdone.  E la Sindaca, che, appena eletta, disertò un incontro col Papa, che rifiutò d’incontrare il Presidente del CONI per una cosuccia come “Olimpiadi sì, Olimpiadi no”, che sempre sullo stesso argomento,  promise un referendum (poi prontamente dimenticato) si precipita a rispondere al Capitano: “Caro Francesco Totti ci stiamo lavorando.# FamoStostadio nel rispetto delle regole. Ti aspettiamo al Campidoglio per parlarne.” Le istituzioni  possono aspettare, il Santo Padre pure, la “monnezza” può lievitare, le buche possono moltiplicarsi, ma, a Roma, Totti “n’un te lo poi mettè contro” perché, per la Sindaca, per il Movimento e per Grillo sarebbe come andare contro un Tir. Questa è la prima e, per ora, unica lezione che si ricava “dar pasticciaccio brutto de Tor di Valle”. Per il resto, è confusione, smentite, affermazioni, due passi avanti e un indietro, tre passi indietro e uno avanti. Una matassa talmente ingarbugliata, da diventare immagine del Paese. Proviamo se non a scioglierla, almeno a descriverla per personaggi e argomenti.

    PALLOTTA. Mai amato il calcio, mai amato la Roma (ha solo in testa i “Boston Celtics”) , caldamente ricambiato dai tifosi. Un po’ perché non c’è mai, un po’ perché quando viene si ferma mezza giornata, un po’ perché non tollera il tifo violento organizzato. Mai amato il calcio, ma il nome “Roma” sì, un nome che negli Stati Uniti e non solo, evoca l’antico impero, il Colosseo (vedi lo stadio di oggi con la metafora tottiana dei giallorossi novelli gladiatori), il Papa, una città unica ossia eterna, la Dolce Vita e la Grande Bellezza…. Pallotta, scovato dall’ Unicredit in eterno affanno a causa della  quantità di crediti accumulati con la società giallorossa, compra la Roma per due motivi, riassumibili in breve sotto l’etichetta business: 1) far diventare la parola Roma un brand di livello mondiale; 2) costruire un intero quartiere intorno a uno stadio (#FamoStoquartiere). Ora, il brand stenta a lievitare e non solo perché da noi per ogni maglietta autentica ce ne sono almeno dieci taroccate, ma soprattutto per il fatto che le vittorie non arrivano. Né in Italia, né in Europa. Altro che Asia, altro che America. L’invereconda uscita dalla Champions è stato il colpo esiziale per un’intera stagione. Resta lo stadio. Se salta quello, Pallotta ha poche ragioni per restare. 

    BERDINI. Assessore all’Urbanistica del Comune di Roma, intransigente difensore del paesaggio, nemico della speculazione edilizia, impegnato contro lo sfruttamento indiscriminato del suolo. Mr. No. Uno che, nella sua rubrica sul “FattoQuotidiano” scriveva (13 gennaio, 2015) così: “Pur di giustificare l’interesse pubblico dell’operazione, il sindaco Marino ha elencato i benefici che verranno alla città: il prolungamento fino all’area stadio di una linea metropolitana; la costruzione di un nuovo ponte sul Tevere; la creazione di un parco di 34 ettari” Chi ha indicato l’area? si domanda Berdini : “La Cushman e Wakefield, società di caratura internazionale, incaricata dalla Roma di trovare la zona del nuovo stadio. Insomma, il futuro della capitale d’Italia sta nelle mani di una grande società immobiliare controllata dalla finanziaria Exor (famiglia Agnelli) e di un esponente della finanza internazionale come James Pallotta (…) Credono di prendere in giro i romani: le opere giudicate d’interesse pubblico (n.d.r. fu appunto una decisione del Consiglio Comunale, sindaco Ignazio Marino) saranno realizzate attraverso l’esborso di denaro pubblico (gli oneri di urbanizzazione previsti dalla legge) e da altro denaro di proprietà pubblica, derivante dai maggiori introiti dovuti agli aumenti di volumetria concessi. Si spenderanno, dunque,  per opere utili solo e soltanto alla Roma calcio preziosi soldi pubblici”. La battuta che Berdini sia laziale lascia il tempo che trova. E’ vero invece che, nell’incontro di qualche giorno fa in cui il Comune di Roma dava parere non favorevole allo Stadio a Tor di Valle, Berdini  proferiva chiaramente un: “Gliela abbiamo tirata nei denti.” 

    PARNASI. Costruttore romano che affianca Pallotta nell’ intrapresa dello stadio. Anzi del cosiddetto Business Park ossia della parte destinata agli uffici. Per quest’area sarà necessario quasi un miliardo per la struttura e 300 milioni per le infrastrutture. Il Comune, la Città Metropolitana di Roma (cioè l’ex provincia) ritengono eccessiva la cubatura proprio di questa zona e permangono ancora dubbi sull’identità dei futuri inquilini dei nuovi uffici. Per Luca Parnasi, il Business Park è essenziale dopo che la capogruppo Parsitalia ha chiuso i battenti. Unicredit è il principale finanziatore del costruttore che ha, con la banca, un’esposizione per 450 milioni. Anche MPS e Aareal Bank vantano crediti verso Parnasi. Dopo lo smantellamento e l’indebitamento della storica Parsitalia che, dal 2013 al 2015 ha cumulato perdite per oltre 180 milioni di Euro, ristrutturato appunto da Unicredit,  Luca Parnasi, subentrato al padre, punta tutto su Eurnova, la società che possiede i terreni di Tor di Valle.

    IL PROGETTO. Progettato dall’archistar Libenskind, in una zona attualmente in totale abbandono, ma limitrofa ad un’ansa del Tevere e in cui va in rovina il vecchio ippodromo di Tor di Valle, prevederebbe (il condizionale è d’obbligo) in sostanza circa 1 milione di metri cubi, il cui 14% sarebbe dedicato agli impianti sportivi e l’ 86% a negozi, alberghi, ristoranti, uffici. E’ costituito da tre nuclei: stadio, area commerciale e tre torri destinate ad uffici. A vederlo nel suo grande plastico con i tre grattacieli di vetro, circondati da prati e alberi, è certamente meno dannoso per paesaggio circostante, di quanto non lo sia l’attuale tessuto urbano con costruzioni prive di ogni dignità architettonica. Ma il punto non è solo questo. E’ che la formula “interesse pubblico” promulgata dalla precedente amministrazione comunale si coniuga alla legge sugli stadi, che sancisce la “sostenibilità economica” di ogni iniziativa. Chi ha deciso di realizzare il progetto (Pallotta e il costruttore Parnasi) dice che è disposto ad investire 1,6 miliardi di Euro, per lo stadio e l’area commerciale a cui aggiungere 1 miliardo e 300 milioni per gli uffici (la più grande operazione immobiliare d’Italia) ma che può, appunto, sostenerlo solo se almeno 800 mila metri cubi saranno destinati, appunto, ad uffici e locali commerciali. Tanti soldi, tanta occupazione, tanti tifosi, tanto investimento (anche per la squadra?) e la possibilità di una causa miliardaria contro il Comune in caso di rifiuto, da una parte. Dall’ altra il Comune e Berdini che ricorda come in quell’ area il Piano regolatore generale consenta “solo” un massimo di 118 mila metri quadrati, che si traducono in oltre 600 mila metri cubi in meno di quelli voluti dalla Roma e da Parnasi. Il Comune ritiene poi che i progettisti  non “abbiano valutato il rischio idrogeologico, cioè il pericolo d’inondazioni, e  considerato le “condizioni di sicurezza stradale” perché sono previsti “parcheggi in curva e un’eccessiva concentrazione di varchi sulle rotatorie, col rischi d’intasamenti.” I trasporti pubblici, sarebbero un altro punto critico perché la “biforcazione della Metro fino a Tor di Valle causerebbe danni a 200 mila utenti e il capolinea della ferrovia Roma-Lido ha dimensioni inadeguate”. Ma in Campidoglio, l’ex candidato del PD Giachetti ha fatto notare che “l’iniziativa, bella anche da un punto di vista architettonico, è comunque privata e darebbe al Comune 400 milioni di Euro per i permessi di urbanizzazione.”

    A.S. ROMA. E’ vero: il calcio che ambisce alla ribalta internazionale ha sempre più bisogno d’indotto e non solo dello stadio, ma la Roma ci guadagna? E’ difficile dirlo. “Il Messaggero” stima i profitti privati dell’intera operazione addirittura in 800 milioni di Euro (una cifra che pare eccessiva)  e , per un intreccio di società, scrive che la Roma si troverebbe a pagare 2 milioni di affitto all’ anno per lo stadio. A chi? A Mr. Pallotta che ne è il padrone e poi lo affitta alla A.S. Roma.

    UNICREDIT. Ne ha bisogno, del progetto, come il pane (si fa per dire) perché vanta un credito con la Roma di circa 176 milioni di Euro e col costruttore Parnasi di 450 milioni di Euro. Le difficoltà e le polemiche di questi giorni non rasserenano il clima nemmeno per Goldman Sachs e Rothscild che stanno continuando a cercare investitori per il finanziamento. Proprio per smorzare l’attrito, dopo l’incontro di ieri tra le parti ( i rappresentanti del Comune si sono presentati con i legali dello studio genovese Lanzalone & Partner) e ribaltando il pessimismo in ottimismo, il DS Baldissoni dice: “ ci sono ottime possibilità che l’impresa si realizzi”.

    IL SINDACO RAGGI. Lo vuole fare lo stadio, come no. Sì, l’ha detto anche a Totti, ma nelle regole, cioè ridisegnando tutto, anche se sembra quasi impossibile (il Tevere che può esondare, il piano regolatore, i trasporti, sono solo alcuni tra i 42 vincoli da rispettare…). Ha concesso ai proponenti, però anche a se stessa, “ben” 30 giorni di tempo (in fondo Dio a creare il mondo ce ne ha messi 7) per  smontare un progetto e, forse,  trovare un’altra zona. Ma non sembra possibile, anche per il fatto che il costruttore Parnasi, socio di Pallotta, è da tempo proprietario dell’ area. La Raggi si trova marcata stretta tra Totti e Berdini, il quale minaccia di andarsene se verrà data via libera al progetto, ma teme anche l’impopolarità di chi fino ad ora, vedi il caso Olimpiadi, sembra saper dire solo no. Adesso spera che i Beni Culturali pongano sotto tutela il vecchio ippodromo di Tor di Valle ( a proposito: non pare aver mai subito inondazioni) per rimescolare un po’ le carte e prendere un altro po’ di tempo. Ci vuole per poter rispondere al prossimo tweet del Capitano.

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